Il luogo è il greto del torrente, incassato dove la valle si stringe e si abbassa, quasi una forra. È a più di mezz'ora da Piedicavallo lungo il torrente Mologna, verso il rifugio Rivetti. Il sentiero passa più in alto, dove ci sono le baite sparse chiamate La Montà. Qui in fondo è un posto impossibile, rami marcescenti, tronchi divelti dalle piene, caos di arbusti, pietre instabili, poca luce. Un posto da lupi? Forse.
Oggi è un giorno di fine settembre del 2023, non c'è quasi più nessuno nelle baite a La Montà, finita è la stagione estiva. Poco dopo le sei del mattino un suono si leva nell'aria, non vicino, forse più in basso, dal torrente. È un lamento lugubre, drammatico, un verso che si ripete quasi uguale, non è chiaro cosa sia. Sembra
forse un lamento di un cane, un grosso cane che muore, con paura, con dolore, il grido di chi sa di non avere speranza. Gli animali non umani sanno molto di più di quanto noi, che ci diciamo superiori, ammettiamo che sappiano.
Valter è il mio amico di sempre, ha una baita qui a La Montà dove passa l’estate. Non è un villeggiante qualunque, è nato e cresciuto in queste valli, come nessun altro ne conosce tutti gli aspetti, i problemi, le necessità.
Si sveglia, ascolta, ha avuto e ha conosciuto tanti cani in vita sua, compagni di vita e di lavoro, un suono simile lo mette subito in allarme, come può un cane soffrire così, giù verso il torrente? Una vita anche da allevatore gli impone di muoversi, subito, non si abbandona un animale che soffre.
Si alza, si veste, esce nel freddo del mattino e la luce è ancora poca. È solo, dalla sua baita raggiunge il sentiero, intanto quel lamento inquietante è cessato, ma bisogna andare a vedere cos'era. Scende un poco verso Piedicavallo poi appena è possibile abbandona il sentiero e va giù verso il torrente, terreno difficile, franoso, molto scosceso, ramaglie, ma ha il falcetto con sé, è un grande aiuto.
Sente un rumore e si ferma, sono due ragazzi che vanno al Rivetti, Valter li vede dal basso. Intanto ha raggiunto il torrente, c'è pochissima acqua, passa sull’altra sponda, perlustra tutte le rive e i boschi della zona da dove sembrava provenire quel suono.
Non trovando nulla, perplesso ma non rassegnato, decide di tornare verso casa e risale ancora il torrente aggirando le numerose cascate, c'è un punto più su dove è facile tornare sul sentiero. È stupito di non aver trovato nulla, eppure quello era un
grido di allarme estremo, di animale che muore. Poche decine di metri e trova quel che cercava. Ed è una sorpresa, o forse no.
L'orripilazione, i peli che si drizzano sulla schiena, è quello che proverebbero tanti nel primo istante davanti a una scena come quella. Un istante di paura, una scarica di adrenalina, un'occhiata intorno e ritorna la calma.
È un camoscio appena ucciso e già sbranato, le interiora scomparse, le zampe anteriori divelte all'indietro, le costole mangiate per metà, le scapole disarticolate e mangiate in parte. Sui sassi il colore rosso vivissimo del sangue.
Tutto è successo in meno di mezz'ora, perdonate la crudezza, dall'ultimo lamento.
Io non ho mai visto altre foto di predazioni così impressionanti, il sangue così fresco, la firma del lupo nelle impronte di sangue rosso vivo su una grande pietra piatta.
Forse erano più di uno, per sbranare e ingoiare così tanta carne in poco tempo.
Forse più di uno per braccare un camoscio, signore delle creste, fino a farlo scendere così in basso nei boschi.
Un camoscio forte e in buona salute a giudicare dalle corna e dal resto.
Impressionante certamente, tuttavia questa è stata una predazione in piena regola, perfettamente naturale. Gli attori sono stati due, il carnivoro più efficiente e diffuso del mondo ed un mite erbivoro,
elegante e atletico abitatore della montagna.
Tuttavia, dobbiamo osservare con attenzione questo momento culminante della vita selvaggia, non foss'altro che perché è successo a pochi minuti da casa.
Si può pensare che un lupo sia paragonabile ad un grosso cane, ma non è così. Gli incroci cane-lupo già dalla prima generazione perdono la forza delle mascelle necessaria per predare con successo e sbranare un selvatico di peso pari al suo, o più spesso maggiore del suo. Perché i lupi non si nutrono di piccole prede come topi o arvicole, come farebbe una volpe, vivono di prede grandi. Ne consegue che gli occasionali incroci con cani randagi non possono incidere sulle caratteristiche della specie.
Il lupo è un vero “predatore alfa”, e può contare sulla forza del branco. Ora dopo secoli è tornato, numeroso, a vivere vicino a noi. L’abbandono della coltivazione di campi e boschi gli ha ricreato il suo ambiente adatto. Per millenni è stato cacciato dall'uomo e ne ha maturato un timore pressoché assoluto, non si fa vedere e non ci attacca. Ma ora non viene più cacciato da diverse generazioni. I pastori ormai da tempo hanno grandi difficoltà per difendere le greggi dagli attacchi dei lupi. Inoltre, oggi sono tanti gli uomini le donne e i bambini che si inoltrano nei boschi solo per diletto, del tutto imbelli, inermi, indifesi. Cosa si può prevedere?
Forse è normale in un mondo in cui il 70 percento della gente vive in città, ma mi sembra siano sempre più rare le persone con il cuore, il coraggio e la forza di alzarsi alle sei del mattino per cercare, in un posto impervio e pericoloso, un animale che soffre.
Grazie Valter per le foto e soprattutto per il tuo racconto.