1981, Viaggio nell’Amazzonia in Perù
Un
viaggio come oggi non si usa più, organizzato da noi stessi ma principalmente
da Federico. Abbiamo seguito poche tracce di una spedizione
alpinistica sulle Ande fatta dall’amico Ugo, lo scorso anno. E' stato un
viaggio un po' avventuroso che ci ha fatto conoscere qualche aspetto meno noto
del Perù.
Dei
26 giorni del viaggio in Perù otto li abbiamo impiegati per visitare la parte
amazzonica, in uno degli ultimi avamposti della "civiltà" dentro la
foresta fluviale amazzonica.
Occorre sottolineare
che questa non è una zona turistica, la curiosità e l'interesse con i quali noi
guardavamo gli abitanti erano spesso al pari ricambiati.
Quanto
segue è tratto dal diario che scrivevo ogni sera, ampliando gli appunti scritti
su un quaderno.
Giovedì 13 agosto.
Sono
le 16.30 di giovedì 13 agosto 1981 e siamo all'aeroporto di Lima. Stiamo
aspettando il volo per Pucallpa prenotato ieri. Pucallpa è una città amazzonica
nel settore nord orientale del Perù. Siamo in quattro : Chicco, Lia, Laura ed io.
Seduti
su un piccolo gradino della hall scambiamo quattro chiacchiere con un
inserviente che viene ogni tanto a trovarci e ci informa del ritardo del volo,
ha un vistoso cerotto vicino ad un occhio. Trovo a terra una strana cosa grande
come un piccolo uovo, dall'aspetto legnoso e coperta come di squame,
l'inserviente dice che è un frutto della selva, per me, perenne assetato di
boschi e foreste, è come per un navigante avvistare un gabbiano e capire che la
terra è vicina.
Più
tardi scoprirò che è un frutto commestibile, sotto la buccia c'è uno strato
sottile di polpa acidula poi il grosso seme durissimo, non ne so il nome.
Alle
19.30 parte il volo per Pucallpa, c'è una hostess ed uno steward, ci offrono
caramelle e aranciata. Bello il volo nella notte, sul DC9 ci sono viaggiatori
insoliti, molti hanno bagagli voluminosi e più di uno porta a mano cinghie di
motori e pezzi meccanici di ricambio.
Siamo
tutti ansiosi di arrivare a Pucallpa. La signora Zita, nostra fittavola a Lima,
ci ha detto che andare in Amazzonia è come vivere un film da protagonisti, l'ha
detto con molta convinzione. Si atterra alle 20.15, un po' bruscamente.
Appena
scesi sulla pista buia ci assale un caldo pauroso, umidissimo, l'aria è spessa
e stenta ad entrare nelle narici, assordante è il concerto di grilli e cicale
che immaginiamo grandi come passeri. Ci incamminiamo verso il terminal.
Appena
giunti veniamo assaliti da una folla di curiosi, volti energici e abbronzati,
occhi vivissimi quasi tutti arrossati. Tutti che toccano spingono chiamano in
uno spagnolo per noi difficile, chiedono se vogliamo un taxi o un albergo
mentre aspettiamo con un filo d'ansia che ci portino i nostri bagagli.
Il Terminal non è altro
che una baracca di legno però è abbastanza illuminato e vi sono manifesti ed orari
appesi; il pavimento è di cemento tirato lustro, ci sembrerà una cosa moderna e
lussuosa quando ci ripasseremo fra sette giorni.
Mentre
aspettiamo contrattiamo con un ragazzo sui 18-20 anni, sveglissimo, occhi
appannati dal tracoma, ci chiede una cifra un po' alta per portarci fino a
Pucallpa; siamo incerti fra il piccolo pullman sgangherato che vediamo fuori e
la macchina privata che però promette di portarci fino all' Hostal Oriental a
cui avevamo telefonato. E' notte, non conosciamo la zona e le distanze, optiamo
per la macchina del nostro "amigo" che ci dà subito del tu. E'
agitato al punto da risultare inquietante ma mi è anche simpatico.
Saliamo
sulla macchina, una BMW nuova e luccicante nonostante la polvere delle strade
di terra. Noi quattro siamo dietro, davanti c'è un tizio che guida e una grossa
signora ben vestita ed un ragazzino; il nostro "amigo" è fuori seduto
sul bagagliaio aperto che trattiene con una mano l'eccesso di bagagli che
trabocca.
E'
buio pesto la strada è di terra battuta polverosissima e fiancheggiata da alte
erbe. Il motore è silenzioso e dai finestrini si sente il clamore dei grilli e
delle raganelle. Pochi minuti ed entriamo in Pucallpa, sembra un agglomerato di
periferia ma poi per il rumore dei
Juke-box e per la gente numerosa che agita le strade e per il fatto che sono finiti i sobbalzi
(alcune strade centrali sono di cemento) ci rendiamo conto di essere in centro
città. Scendiamo in mezzo alla strada, paghiamo e ritiriamo gli zaini dal
bagagliaio, ci viene indicata la strada per l'Hostal Oriental che è poco
lontano.
L'Hostal
Oriental è fantastico: manca l'acqua anche nei bagni che sono dei buchi per
terra dentro a dei séparé sui quali sta scritto "Caballeros" e
"Damas", vicino ai bagni ci sono alcuni grossi bidoni quasi pieni di
acqua ed una latta per attingerla, i corridoi sono tutti imbrattati di terra
rossa resa fango dall'acqua versata, le stanze ed i corridoi del primo e unico piano,
tutto di legno grezzo non verniciato, sono illuminati da rare lampadine nude,
il tetto è di lamiera.
L'aria
è soffocante e sa di umido e di muffa. Le porte delle stanze non hanno chiave
ma un chiavistello o un pezzo di fil di ferro da agganciare intorno ad un
chiodo. Vediamo un topo che percorre il corridoio con la stessa dignità degli clienti
dell’albergo.
Il
guardiano ci accompagna di sopra e ci prepara il letto (un tavolato di legno
con un materasso di paglia durissimo) con una coperta di tipo militare e un
lenzuolo grigio largo come il letto ma corto la metà, in pratica ci si appoggia
solo il dorso. Scarichiamo il materiale più pesante e meno prezioso e scendiamo
per mangiare. Lungo la strada principale troviamo un bar ristorante e qui
ceniamo gustando un piatto di minestra e un orribile "llomo saltado".
Alcune
cavallette saltano nei piatti e si trascinano camminando fuori dalla minestra
anche loro disgustate, sopra di noi c'è un ventilatore con due grandi e lente
pale. I volti della gente sono ben diversi da quelli dei peruviani della costa
e delle Ande, comunque quasi tutti hanno volti violenti con tratti marcati, la
pelle è scura e abbronzata, molti hanno il tracoma una malattia degli occhi che
macchia l'iride e arrossa il bianco degli occhi.
Torniamo
quasi subito all'Hostal Oriental, dove una bella ragazza sui vent'anni fa la
spola tra la strada e il piano superiore sempre accompagnata con molta
discrezione.
Nella
nostra camera oltre al tavolaccio che funge da letto ci sono una sedia ed un
tavolino, tutto di legno di recupero, sembrano tagliati con l'accetta, c'è una finestra senza i vetri ma con una
rete metallica finissima contro le zanzare che però entrano e pungono lo
stesso. Sotto le lamiere del tetto il caldo è soffocante l'aria è densa, anche
da coricati si suda ma bisogna coprirsi per proteggersi dalle zanzare. Un topo
ci fa visita correndo all'impazzata per la stanza, dopo averlo scacciato chiudo
il foro sotto la porta con un giornale ripiegato.
Sono
profondamente contento ed eccitato sia per il posto sia per le cose meraviglise che avremo modo di vedere.
Questo
è l'ultimo avamposto della civiltà, un posto da pionieri, ci si arriva solo per
una strada di terra di centinaia di chilometri aperta nella foresta come una
ferita, oppure con l'aereo; tutto intorno, a parte il grande fiume, c'è la
foresta.
Prima
di andare a letto abbiamo chiesto informazioni al guardiano di notte su come
fare per ottenere un passaggio su una chiatta mercantile fino a Iquitos, la “capitale”
dell’Amazzonia, in Brasile, dove l’Ucayali sarà diventato Rio delle Amazzoni. Molto
gentilmente si è offerto di accompagnarci al porto la mattina seguente.
Venerdì 14 agosto.
Alle
8.30 partiamo accompagnati dal guardiano notturno verso il porto di Pucallpa,
sul fiume Ucayalli. Essendo arrivati che era notte vediamo la città per la
prima volta, restiamo stupiti dalla presenza di numerosi avvoltoi dalle movenze
sinistre che abitano le strade; sono grandi come tacchini, nerastri, qui li
chiamano "gallinazos". Le strade sono quasi tutte di terra e le case
di legno, solo le case lungo le vie principali hanno la fognatura, le altre vie
sono fiancheggiate, ma anche attraversate, da luridi rigagnoli, evidentemente
la fognatura è solo per le vie principali. Dovunque guardiamo si vedono cose
per noi inusuali; passa un carretto carico di pesci i più grandi dei quali
superano il metro e mezzo, nel cortiletto di una casa un signore gioca con una grande
scimmia ragno legata alla catena.
I piccoli pullman che girano sono i più sgangherati che abbiamo visto in Perù mancano di porte e finestrini, qua e là si vede il metallo lucido della carrozzeria dove la vernice è scomparsa come consumata dal vento; passando sollevano un polverone rosso (la terra è rossa, Puc-allpa in un qualche idioma significa terra rossa). La gente sale al volo sui bus, come anche a Lima. Impieghiamo circa mezz'ora per raggiungere il porto, il sole si fa sempre più caldo, la luce è molto forte, fastidiosa.
I piccoli pullman che girano sono i più sgangherati che abbiamo visto in Perù mancano di porte e finestrini, qua e là si vede il metallo lucido della carrozzeria dove la vernice è scomparsa come consumata dal vento; passando sollevano un polverone rosso (la terra è rossa, Puc-allpa in un qualche idioma significa terra rossa). La gente sale al volo sui bus, come anche a Lima. Impieghiamo circa mezz'ora per raggiungere il porto, il sole si fa sempre più caldo, la luce è molto forte, fastidiosa.
Facciamo
un giretto nel porto, ci sono molti barconi e chiatte in fase di carico o
scarico, da una chiatta tramite una passerella fatta da un unico asse una
dozzina di scaricatori stanno portando a riva enormi assi di legno rossastro,
lavorano senza parlare. Gli scaricatori hanno i corpi più formidabili che abbia
visto finora tutti insieme: quasi tutti sono giovani e abbronzati, scalzi con
solo i pantaloni corti e uno straccio che si aggancia alla fronte e scende
oltre metà schiena, serve per poggiare gli assi sulla nuca e le spalle. La
muscolatura è poderosa massiccia e tornita, sono molto controllati nei gesti,
dev'essere un lavoro pericoloso.
Il
nostro amico dell’ Hostal chiede se vi sono barconi in procinto di partire. Ne
trova uno che partirà di lì a due giorni per Iquitos, chiediamo al capitano il
prezzo che ci pare un po' elevato e comunque ci vorrebbero 5-6 giorni di
navigazione, abbandoniamo l'idea di andare ad Iquitos.
Questi
fiumi amazzonici hanno variazioni di livello di 4-6 metri, il periodo piovoso è
il nostro inverno quindi ora siamo con poca acqua, tuttavia l'Ucayali qui è
largo ad occhio mezzo chilometro e siamo a 4500 chilometri dall'oceano
Atlantico in cui finiranno queste acque.
Le
sponde sono in perenne erosione e perciò anche le strutture del porto sono
minime e provvisorie. Perlustriamo tutto il porto attraversando il mercato che
è incredibile: fittissimo, installato su un prato sulla riva del fiume che
scorre otto metri più basso, brulica di persone e ci sono le cose più strane. Su
un braciere sta cuocendo una specie di zuppa in un carapace di tartaruga,
stranissimi pesci verde scuro sono in vendita a terra appoggiati su uno
straccio, compro alcune uova di tartaruga bollite, sono oblunghe grandi come
metà del dito indice, io le trovo buone. Banane di tante varietà sono appese
ovunque in vendita, una banana costa a noi l'equivalente di 10-20 lire. Per passare bisogna
fare lo slalom tra i banchetti, i volti energici della gente non ci
tranquillizzano molto e ci sentiamo decisamente come pesci fuor d'acqua e come
tali siamo guardati, non scatto neppure una foto. Mi sembra che nel mercato non abbiano mai visto un turista, e non li gradiscano.
Il
caldo si è fatto pesantissimo, tornando verso l'albergo ci fermiamo sotto una
specie di tenda da mercato a fare colazione, ci portano caffè lunghissimo ed io
chiedo pane e mantequilla, dopo alcuni passaparola fra una tenda e l’altra mi
portano un pacchetto di carta unta che contiene tre cucchiai di burro salato
semifuso color giallo - arancio, ne
mangio un po' lasciando stupefatti i miei compagni.
Riprendiamo
la strada verso la città, il caldo è veramente massacrante, camminando ci
sembra di barcollare, ci fermiamo ancora in una specie di spaccio, prendiamo
tutti la Inca-Cola, una bibita gialla caramellosa e nauseante.
Tornati
in centro prendiamo una camionetta che ci porterà a Jarina Cocha che è una
frazione di Pucallpa su una laguna (cocha) a pochi chilometri. Vogliamo cercare
qualcuno che ci porti per qualche giorno nella selva.
Appena
scesi veniamo contattati da un olandese che dice di voler anche lui fare un
giro lungo i fiumi, ci invita in una capanna-bar e ci offre birra in
abbondanza, ci presenta un italiano che possiede una barca; l'olandese è
biondissimo con i capelli lunghi ed ha un braccialetto di denti di scimmia,
passiamo un'oretta con lui a parlare ed a progettare il giro, siamo molto
stanchi per il caldo spossante.
C'è
qualcosa che non ci convince nelle proposte dell'olandese, intuiamo che fa lo
specchietto per le allodole attirando i clienti, e non si capisce chi sarà
davvero la guida, non siamo tranquilli e ce ne andiamo lasciando cadere la cosa.
Giriamo
ancora un po' poi salta fuori Agustin, è un meticcio di 22 anni con un fisico
minuto ma atletico ed è molto sveglio.
Con
lui andiamo in un bar e lì improvvisa un progetto di viaggio di cinque giorni
illustrandolo con una mappa disegnata su un pezzo di carta da imballo, con i
nomi dei fiumi e indicando i villaggi indio che visiteremo.
Ci
sembra di poterci fidare, conveniamo dopo qualche contrattazione sul prezzo :
85000 S/ (soles), più la comida, il cibo, circa
250.000lire più il cibo, per cinque giorni nella selva; è fatta!
Andiamo
con lui e con Carlos (20-25 anni) che farà il motorista, a fare il bagno nella
laguna sulla sponda di un isolotto. Il bagno in acque amazzoniche è da
ricordare; i pesci sono numerosissimi ci pizzicano la schiena e le dita dei
piedi, l'acqua è color caffelatte, pesci più grandi ci passano sotto il naso a
pelo d'acqua. Agustin ci informa candidamente che vi sono molti piranha e ci
mostra una ferita aperta sul suo dito indice procurata da un loro morso alcuni
giorni prima.
Tornati
dal bagno mangiamo un boccone in una bancarella, cibi piccantissimi per noi
quasi immangiabili anche per il gusto, anche il pane, che non c'è quasi mai, sa
decisamente di petrolio.
Poi,
sempre guidati da Agustin, facciamo una lunga passeggiata contornando la laguna
e qui vediamo varie cose interessanti: l'albero del pane, vari tipi di banani,
il mango, le orchidee, il cotone ed alcune capanne degli indios. Una donna india
sta cuocendo dei piccoli vasi di terra rotolandoli sulle braci di un fuoco da
campo, sono colorati con disegni tipo greca, il coccio è nerissimo e molto fine.
Torniamo poi a Pucallpa dopo esserci dati appuntamento per domani alle 7, per
fare la spesa e poi partire.
Sabato 15 agosto.
Dalle
7 alle 8 aspettiamo Agustin davanti all'albergo dopo una notte passata a
macerare nella camera divorati dalle solite zanzare. Comprendiamo così che qui il tempo non ha
molto senso, non conta l'ora ma il giorno.
Finalmente
troviamo Agustin a mezzogiorno a Yarina cocha dove siamo andati a cercarlo non
sapendo più che fare, poi torniamo con lui a Pucallpa a fare le provviste:
patate, riso, tonno in scatola, bibite (6 coca cola, siamo frugali), sale, zucchero,
un chilo di pane che sa di petrolio e caramelle per i piccoli indio che
incontreremo. Questi viaggi tra Pucallpa e Yarinacocha li facciamo su
camionette aperte, seduti o in piedi sul cassone. Mi ha fatto una certa
impressione, stando in piedi sulla camionetta, vedere da sopra il profilo del
capo delle persone sedute, noi “bianchi” abbiamo la fronte ed il mento
praticamente uno sotto l’altro, spunta solo il naso. Per gli indios invece si
vede la fronte e poi il profilo delle labbra e del mento che sono almeno
quattro o cinque centimetri più avanti. Un particolare che salta all’occhio
solo guardando da sopra.
Torniamo
a Yarinacocha, facciamo ancora un giro con una barca a remi a caricare le
zanzariere, affittate da un parente di Agustin o di Carlos, e un sacco pieno di
pompelmi enormi e limoni presi direttamente dall’albero; poi si parte.
Un'ora
dopo siamo all'uscita della laguna che comunica con il fiume Ucayalli tramite
uno stretto canale di mezzo chilometro.
La
nostra barca si chiama Ristel, è lunga 7-8 metri, semplice come una barca a
remi, ma una specie di baldacchino di lamiera copre la parte centrale, dietro è
montato il motore che appare come un ammasso rugginoso e dà il movimento
all'elica che si trova al termine di una lunga asta metallica (più di 3 metri)
che fa anche da timone. Muovendo il timone appunto si riesce a far alzare o
girare l’asta con l'elica dall'acqua, così è possibile superare secche e ostacoli
vari.
A
bordo abbiamo un vecchio fucile calibro dodici monocolpo tenuto insieme dal fil di
ferro, quattro o cinque cartucce a pallini che ho comprato io stesso sono le
uniche munizioni. Carlos il motorista ha inoltre una piccola pistola calibro
.22 foggiata come una penna stilografica; due machetes completano l'armamento. I machetes qui sono molto usati, ad esempio per cucinare.
La
laguna di Jarinacocha è molto grande,
ci mettiamo forse un quarto d’ora per arrivare al fondo dove un canale coperto
d’alberi ci porterà al grande fiume. A tratti vediamo uscire dall’acqua degli
allegri delfini, di certo sono le Inie, una specie tipica dei fiumi amazzonici.
All'imboccatura del canale che ci porterà all’ Ucayali ci sono alcune barche simili alla nostra incagliate o in attesa poiché un ammasso di vegetali vaganti, credo siano giacinti d'acqua, ha ostruito il canale. Al nostro turno prendendo lo slancio riusciamo a superare l'ostacolo, ci sembrava impossibile che una barca di 7 metri potesse superare uno sbarramento simile, questo sistema dell’elica in cima alla lunghissima barra è efficacissimo. Più avanti vi sono altri tranelli, i più frequenti sono i tronchi a fior d'acqua, più di una volta dobbiamo scendere nell'acqua bassa ed alzare la barca, durante una di queste manovre d'improvviso un centinaio di pesci, spaventati dalla botta della barca che colpisce un tronco sommerso, volano letteralmente fuori dall'acqua fino ad un buon metro e mezzo in alto, lunghi 6-7 centimetri, bianchi e sottili come farfalle, alcuni ricadono nella barca e li buttiamo fuori.
Sulle
rive dello stretto canale vediamo alcune iguana, una scimmia, numerosi e
coloratissimi martin pescatore. Per me sono ore fantastiche, è un ambiente che
amo, si avverano i sogni di tutta l'infanzia e non solo.
Alcune
donne indie lavano panni sulla riva, vicino a loro vecchie piroghe semi affondate
scavate in un solo tronco, l'unica cosa stonata sono le poche bacinelle di
plastica colorata.
Poi
il canale finisce e ci troviamo nel mezzo dell'enorme Ucayali, che molti
chilometri dopo cambierà nome per diventare Rio delle Amazzoni, lo traversiamo
in parte e approdiamo sulla spiaggia di un'isola dove facciamo il bagno.
Ripartiamo
dopo mezz'ora e scendiamo il fiume, la corrente è a tratti abbastanza forte, comprendiamo le
difficoltà che ha Carlos per evitare i banchi
di sabbia sommersi, il fiume è largo centinaia di metri, ma ci sono molte isole
di sola sabbia altre con alberi lunghe centinaia di metri, ad occhio bisogna
scegliere il percorso giudicando dalle increspature e dal colore dell'acqua per
evitare mulinelli rapide e banchi di sabbia a pelo d'acqua. Tuttavia viaggiamo
veloci, le rive sono alte 3-8 metri e franose. Mentre passiamo vediamo
precipitare in acqua alberi enormi e tonnellate di terra con una frequenza
sbalorditiva, gli alberi caduti si arenano e si ammucchiano qua e là, migliaia
di metri cubi di terra rossa si sciolgono nella corrente color caffelatte.
Altrove
le rive sono spiagge lunghe, a volte seminate a granturco e allora vicino, dove
il terreno risale, c'è una capanna , oltre la capanna un gruppetto di banani,
oltre ancora c'è la selva.
Alcune
chiatte mercantili risalgono o scendono il fiume cariche di barili di petrolio
o legname, vi sono anche barche più piccole simili alla nostra, in genere
cariche di banane verdi da cuocere, su quasi tutte sventola la bandiera del
Perù.
Dopo
un'ora circa approdiamo in corrispondenza di una grande casa di stile
coloniale, è il tramonto, grandioso di spazi e colori, il sole ed il cielo
rosso porpora fanno da sfondo alla lunga riva sabbiosa dove alcuni grossi uccelli,
simili ai marabù si cibano dei numerosi pesciolini che si sono spiaggiati da
soli.
I
tramonti, puntuali alle 18 e poco più, ci stupiscono sempre per la rapidità con
cui ci traghettano nella notte: nel giro di venti minuti é buio: ore 18.45
notte fonda.
Lo
spettacolo del cielo a occidente è grandioso, imponente, il cielo è per una
vasta zona rosso scarlatto, violento come tutte le manifestazioni naturali qui
in Amazzonia.
Sembra di essere finiti nel crogiuolo della
creazione del mondo. Proprio intorno ai
fiumi c’é il massimo di questa attività frenetica di creazione e distruzione.
Un
Architetto forse pazzo, certamente iperattivo, continua a cambiare la
disposizione dei corsi d’acqua : “Quell’affluente non lì, per di qua! Tagliamo
quest’ansa, via la foresta da lì, presto una laguna qui! “ .
Ma
intanto milioni di piante ed animali cercando di essere più rapidi di lui
crescono ovunque e comunque sulle sponde precarie. Sono una
deflagrazione di vita, si riproducono e crescono esuberanti nei modi più rapidi
possibili, sfruttano al massimo l’enorme combinazione di energia della luce,
del caldo, dell’acqua. Colgono tutte le
occasioni per crescere e moltiplicarsi prima che una zampata del bizzarro Architetto
li annienti e li seppellisca in un ribollire di acqua che scorre.
Forse
anche loro, piante e animali, piccoli e grandi, sanno che la Vita è ardua ed
incerta, ma non ce n’è un’altra.
Scarichiamo
i nostri zaini mentre Agustin e Carlos parlano alle due donne abitanti della
casa, per chiedere ospitalità per la notte.
Mentre
girovaghiamo per la casa il mio amico sorprende un tizio mentre sta frugando
nei nostri zaini, mi avverte e dopo ciò gli zaini non sono più lasciati soli un
minuto. Agustin ed io andiamo in giro nelle capanne intorno a comprare un po'
di pesce per la cena, dopo qualche rifiuto ci viene venduto a prezzo
bassissimo.
Nel
cortile dietro la casa scopriamo un albero completamente coperto da un'enorme
ragnatela, poi troviamo due grosse iguane su un altro albero e diamo loro la
caccia ma senza successo, peccato, sarebbero state un piatto prelibato. Qui la
carne è preziosa, e non ci sono frigoriferi.
Piazziamo
le zanzariere in una grande sala, probabilmente questa casa funge da negozio
poiché in questo locale vi è un bancone con provviste, scatolette e cose varie.
Gli
abitanti sono solo due donne, probabilmente i mariti sono via per lavoro.
Una
è anziana e autoritaria, l'altra più giovane madre di due bambine di 7-8 anni e
di un infante molto malato, diafano e astenico,
a mio parere non sopravviverà a
lungo. Visto lo stato di questo bimbo prima di partire lasceremo loro un po’ di
medicine, niente di pericoloso, speriamo… anche perchè non ci si capisce.
Pare
che qui le medicine si dividano in tre tipi: quelle per la febbre, quelle per
il mal di testa e quelle per il mal di pancia…
Approfittiamo
del fuoco per cucinare il solito riso ed i pesci comprati, l'acqua la
attingiamo da due grosse pentole che vengono riempite con l'acqua del fiume
quando è più pulita al mattino, sul fondo c'è un dito di limo, ma l'acqua è
quasi limpida.
Siamo
molto stanchi per il caldo e per il poco cibo ingerito negli ultimi giorni, in
realtà il cibo di città è per noi quasi immangiabile. Mi preparo come dessert
del pesce crudo con sale e succo di limone, agli altri però non piace.
Dopo
cena giochiamo un po' con le due bambine, giocano con alcuni sassolini da lanciare e prendere al
volo, restiamo meravigliati per la loro abilità manuale, da giocolieri. Verso
le 10 andiamo a dormire, si dorme sotto le zanzariere che sono delle specie di
tende di tela sottile tenute tese da corde legate a sedie e mobili vari,
naturalmente si dorme sul pavimento di legno, una maglia fa da cuscino, due
persone più gli zaini per ogni zanzariera, per entrarci occorre coricarsi a
terra, alzare appena il lembo di tela che tocca terra appoggiandoselo sul petto
e sulle gambe, poi rotolarsi sotto in fretta per far entrare meno zanzare
possibile, poi si passa qualche minuto a cercare con la pila le zanzare posate
sulla tela, e buonanotte.
Domenica 16 agosto.
Al
mattino una rapida colazione con tè, si riparte e dopo aver disceso per breve
tratto l'Ucayali risaliamo un affluente laterale destro, l'Aguaitia, largo 20-30
metri la corrente è abbastanza forte, l'acqua ha il solito color caffelatte.
Dopo
mezz'ora ci fermiamo e con Agustin prendiamo un sentiero ben poco battuto che si
inoltra nella foresta, Carlos rimane di guardia alla barca e alla roba.
Per
me è una grande emozione, per la prima volta percorro un sentiero in questa
fantastica foresta.
Seguo
Agustin che porta in spalla il calibro dodici e studio il suo passo agile e
silenzioso. Per fare il passo alza molto il piede prima di portarlo in avanti e
lo riabbassa quasi in verticale mentre noi alziamo poco i piedi facendo più
rumore ed incespicando di più. Passiamo vicino ad enormi alberi da cui pendono
numerose liane alcune grosse solo come matite e lunghe decine di metri. Ad un
certo punto si leva un clamore dai rami alti, numerose scimmie grosse come
gatti sciamano di ramo in ramo gridando come matte. Agustin mi passa il fucile
e sparo, anche se poco convinto, ad una di esse altissima ed in movimento. Il
boato dello sparo riecheggia nella foresta mentre con grandi urla e salti
vertiginosi tutto il branco si dilegua, non cade nulla e in fondo sono contento
così, spero solo di non averla ferita inutilmente.
Proseguiamo
lungo il sentiero e mi sento la ramanzina delle ragazze che disapprovano la
caccia, specie dopo i pasti.
Dopo
un po' arriviamo ad uno slargo, una grossa capanna sulla sinistra è la scuola,
più avanti altre cinque o sei capanne formano un piccolo villaggio, deserto.
Proseguiamo ancora fermandoci poi presso una capanna dove una donna sta con
cinque bambini piccoli su un'amaca.
Agustin le parla nella loro lingua poi ci spiega che lei è separata dal marito che abita una capanna poco più in là. Ci viene detto che in una stanza, l'unica stanza chiusa in queste capanne che non hanno pareti, c'è qualcuno con la malaria, intanto le zanzare sono veramente feroci.
Agustin le parla nella loro lingua poi ci spiega che lei è separata dal marito che abita una capanna poco più in là. Ci viene detto che in una stanza, l'unica stanza chiusa in queste capanne che non hanno pareti, c'è qualcuno con la malaria, intanto le zanzare sono veramente feroci.
Torniamo
indietro fino alla barca dove Carlos ci aspetta, risaliamo ancora l'Aguaitia
poi ci fermiamo ad una spiaggia per bagnarci anche se siamo spossati dal caldo
e l'acqua ci pare più calda ancora. Mentre facciamo il bagno Carlos con la rete
cattura una grossa razza di almeno 50 cm di diametro, con tanto di aculeo
velenoso sulla schiena. La rete, la "tarrafa" che in italiano si
chiama “giacchio”, una rete rotonda trattenuta al centro da una lunga corda con
dei piombi appesi a tutta la circonferenza, la si appoggia tutta sul braccio
poi lanciandola con una rotazione del busto si apre ricadendo sull'acqua a campana
e sprofonda per via dei piombi, poi tirando la corda trattiene e riporta a riva
tutti i pesci rimasti intrappolati sotto.
Agustin, dalla prua della nostra barca, getta la tarrafa |
Risaliamo
in barca (per via della razza e del suo aculeo ci è passata la voglia di
prolungare il bagno), torniamo un po' a valle poi saliamo sulla sponda che qui
è verticale alta una decina di metri, per salire c'è una scaletta intagliata
nella terra, e andiamo a visitare e a chiedere ospitalità per il fuoco in una
capanna abitata da 2 o 3 ragazzi e da due bambine bellissime, una ha i capelli
biondastri ed i tratti meticci. Qui, oltre la frontiera della "civiltà", vivono
molti tedeschi forse scappati dopo l'ultima guerra. Intorno alla capanna girano
liberi dei maiali, polli, faraone, gatti e cani. Cuciniamo patate fritte e la
razza pescata prima, ottima, senza
sfamarci granché. Poi una delle bimbe, è la più piccola, avrà sei o sette anni, ci accompagna ad una laguna a dieci minuti di cammino, per pescare.
Bellissimo
durante il percorso l'attraversamento di alcuni tratti di palude, è quasi buio
sotto le piante, usiamo delle piccole piroghe vecchissime e un po’ scassate che
sembrano fatte per bambini lasciate lì apposta per chi attraversa, la pagaia è
fatta di un pezzo unico con la larga pala a foglia. Ci si sta in due al
massimo, inginocchiati. Tengo gli occhi ben aperti perché non è difficile qui
immaginare la presenza di un caimano o di un qualche serpente, siamo a pelo
d'acqua e pure in mezzo alla vegetazione, e quasi al buio. E' comicamente
difficile guidare diritte le minuscole barchette nella poca acqua, più volte
finiamo incastrati nella vegetazione mentre la nostra piccola guida molto più
abile di noi, se la ride di gusto.
Giunti
alla meravigliosa laguna troviamo una piroga abbastanza grande da accoglierci
tutti e sei, ma c’è da stare ben attenti perché l'acqua arriva a dieci
centimetri dal bordo. Ci portiamo in mezzo alla laguna, Agustin in piedi sulla
prua della piroga con miracoli d'equilibrismo lancia più volte la pesante
tarrafa prendendo poco o nulla, sono fermamente convinto che prima o poi
finiremo tutti in acqua.
Io provo a pescare con la lenza tenuta in mano e pezzetti di pane come esca, ma i piranha mi tagliano metodicamente la lenza, non sento neanche strattoni e quando tiro su non c'è più l'amo. Ora capisco perché al mercato di Pucallpa vendevano ami con un lunghissimo gambo d'acciaio!
Io provo a pescare con la lenza tenuta in mano e pezzetti di pane come esca, ma i piranha mi tagliano metodicamente la lenza, non sento neanche strattoni e quando tiro su non c'è più l'amo. Ora capisco perché al mercato di Pucallpa vendevano ami con un lunghissimo gambo d'acciaio!
Con
la rete prendiamo però alcuni piccoli pesci straordinari di foggia mai vista.
Uno di essi, lungo una spanna e mezza, ha una grossa bocca con denti lunghi e
fini come aghi e trasparenti, sembra appena emerso dalla preistoria,
stupidamente non lo fotografo.
Verso
il tramonto torniamo alla capanna (tra l'altro vi sono stese, in alto, alcune pelli di
anaconda una di esse è di tre metri e più), prendiamo un the, poi ci danno in prestito l'arpione per cacciare i
caimani. L’arpione è un bastone lungo quasi due metri di legno duro e
pesante con un puntale di ferro con l’ardiglione,
a questo puntale è legata una lunga sagola. Dopo averlo infisso nell'animale il
bastone si stacca dall'arpione che rimane ancorato alle carni e occorre
trattenere la preda mediante la sagola.
Ormai
è notte, saliamo in barca e risaliamo ancora l'Aguaitia fino alla spiaggia dove
avevamo pescato la razza. E' buio, puntando la pila a pelo d'acqua si vedono
fosforescenti gli occhi di molti caimani che ci guardano a pochi metri di
distanza.
Montiamo
le zanzariere fissandole con bastoni infissi nella sabbia, abbiamo programmato
la caccia ai caimani dopo le 11 e mezza, bisogna restare svegli.
Mentre
ci prepariamo per la notte arrivano a piedi nel buio due ragazzi e si fermano a
parlare con Carlos e Agustin. Dico ragazzi per via dell’età, ma qui lungo il
fiume anche i ragazzi parlano seri e il comportamento è quello di un adulto.
Diamo loro qualche sigaretta per la notte, ci dicono infatti che andranno a
fare la guardia a dei campi coltivati perché c’è chi ruba, ci lasciano capire
di essere armati.
Poi
se ne vanno, fa un po’ impressione il fatto che dopo dieci passi la notte li ha
inghiottiti e il gorgoglio dell’acqua vicina copre ogni altro rumore, chi mi capisce..
bene.
Poco
dopo gli altri vanno a dormire ma io per non rischiare di addormentarmi mi
metto a pescare nel buio lanciando la lenza a mano dalla spiaggia, non prendo
quasi nulla, solo alcuni pesciolini pungenti e "parlanti" infatti
emettono dei continui brontolii con le bolle d'aria dalla bocca, stupefacente! A
volte si sentono strattoni violenti e sempre si strappa la lenza, è
sconsolante, ci dev’essere una moltitudine di mostri in quest’acqua!
Poi
sveglio gli altri e mentre le ragazze continuano a dormire noi in barca
risaliamo l'Aguaitia per circa venti minuti, poi approdiamo. Aspettiamo che
l'ambiente si calmi. Quando gli uccelli notturni ricominciano a cantare
riprendiamo la corrente tenendoci accosto alla riva a motore spento ma pronti a
riaccenderlo perché la riva è discontinua e la corrente un po' troppo forte.
Esploriamo la riva con le pile, Agustin è sulla prua e Carlos a poppa vicino al
motore, vediamo un caimano sulla sponda ma la corrente ci allontana, Carlos
cerca di fermare la barca puntando una pertica e Agustin cerca di trattenerla aggrappandosi
a degli arbusti che emergono dall'acqua, gli arbusti si strappano di colpo, la
barca ha un forte sobbalzo e Agustin cade in acqua e con lui l'arpione che stava
appoggiato sulla prua.
Abbiamo
perso l'arpione. Carlos rapidamente accende il motore evitando per poco che la
barca vada a sbattere con violenza contro un gruppo di alberi che emergono
dall'acqua. Torniamo sul punto dove è caduto l’arpione e Agustin prova una
volta sola ad immergersi e cercare l’arpione nell’acqua buia, ma invano.
La
nostra caccia ai caimani finisce qui, senza arpione non c'è nulla da fare.
Agustin bagnato e arrabbiato dice "Mira como se calienta el alemano ! ....quando
gli diremo che abbiamo perso il suo arpione!". Imprecando alla sfortuna
ritorniamo alla spiaggia dove le tende-zanzariere risaltano bianche sotto la
luce lunare, le ragazze dormono beate.
Lunedì 17 agosto.
Il
sole del mattino ci scalda e asciuga dopo la notte umida e fredda nelle ultime
ore. La luce del primo sole illumina i jeans di Agustin appesi alla tettoia
della barca ad asciugare dopo il bagno notturno.
Qui
intorno ci deve essere un piccolo villaggio con una scuola, una lunga canoa
carica di bambini attraversa in diagonale l’Aguaitia.
Intanto
c’è un suono che si ripete, forte e inquietante, metallico e proviene da un
alto albero di là dal fiume.
Sicuramente
si tratta del “pàjaro campana”, sembra
impossibile che un suono così potente metallico, drammatico, provenga dalla
gola di un uccello.
Ma
in pratica ieri sera non abbiamo mangiato… quindi smontiamo le tende e
carichiamo tutto sulla barca, l’Aguaitia, il corso d’acqua dove siamo, è
piccolo e anche veloce, non ha senso risalirlo ancora. Scendendo passiamo dalla
capanna dove ci avevano prestato l’arpione per avvisarli che è andato perso. Torniamo
nell’Ucayali e lo risaliamo fino alla casa dove avevamo dormito la prima sera,
compriamo un pesce, 2 kg pulito, 500 S/ (soles). Mangiamo anche banane bollite
ed io il cebice, pesce crudo col limone. Ripartiamo scendendo la corrente, siamo
di nuovo nel grande fiume che in questo tratto fa un po’ di curve, il che vuol
dire rapide e bassifondi da scansare, Carlos al timone è bravissimo e Agustin
aiuta stando in piedi a prua per vedere più dall’alto le correnti. Ogni tanto crolla
in acqua un tratto della sponda, alta quattro o cinque metri, tonnellate di
terra, alberi compresi, meglio stare alla larga.
Seguendo
il programma scritto sulla carta da pacchi scendiamo l’ Ucayali e dopo un po’ lo
abbandoniamo risalendo un altro affluente che proviene da destra, il Calleria,
più piccolo dell’Aguaitia, ma secondo le nostre guide è più pescoso.
Risaliamo
per un po’ poi ci fermiamo vicino ad una capanna. Agustin e Carlos, ed io con
loro, partiamo per andare a pescare, con una piccola piroga che era legata al
molo, traversiamo il fiume e approdiamo sull’altra sponda, poco oltre c’è una
laguna. Loro due salgono su una piccolissima piroga e vanno a pesca, io resto
solo, mi addentro un po’ lungo un sentiero. Anche qui la foresta è stata
tagliata, attraverso un rigagnolo con poca acqua, incontro una donna che mi
invita alla sua capanna a vedere il Paiche, fatichiamo a capirci, lo spagnolo
di tutte queste indie della selva è abbastanza incomprensibile. Poco prima
avevo trovato a terra la pelle di un grosso pesce scuoiato da poco, credo sia
un’ Arapaima gigas, qui lo chiamano Paiche, una specie di pesce gatto che può diventare
enorme, fino a tre metri. In effetti arrivati alla capanna c’è appeso il grande
pesce, senza pelle e salato. Le faccio i complimenti per averlo preso, ma non riesco a farmi spiegare come l'ha preso, la tarrafa è una rete pesante e credo la usino solo i maschi. Saluto
e torno indietro. Ritrovo i due pescatori, che però non hanno preso nulla, solo
pesci piccoli, e torniamo alla capanna.
Risaliamo
ancora il rio Calleria, incontriamo una barca di pescatori, sono ancorati momentaneamente
a degli alberi piegati in acqua, siamo senza cibo fresco, Agustin contratta con
loro e barattiamo alcuni pesci con dei limoni.
Risaliamo
ancora il rio fino ad una spiaggia, facciamo il fuoco e cuciniamo i
pesci barattati mettendoli sopra il fuoco appoggiati a una graticola di
legnetti verdi, appena strappati.Sullo stesso fuoco cuciniamo il solito riso.
Intanto scende il tramonto, per fare luce accendiamo un po’ di benzina in una lattina di carne in scatola. Con il buio arriva un attacco di zanzare inverosimile, ci copriamo con maglie e pantaloni lunghi, per fortuna le zanzare non fanno prudere molto. Prima di mettermi la maglia osservo il mio avambraccio in controluce davanti alla torcia di benzina, è coperto da uno strato di zanzare, sembra una muffa. Le nostre guide ci lasciano soli per andare, con il buio, a chiedere in prestito un arpione per la caccia ai caimani, evidentemente qua vicino ci sono capanne. Tornano tardi, finiamo di montare le zanzariere, ma poi nessuno ha voglia di andare a caccia, dormiamo.
Intanto scende il tramonto, per fare luce accendiamo un po’ di benzina in una lattina di carne in scatola. Con il buio arriva un attacco di zanzare inverosimile, ci copriamo con maglie e pantaloni lunghi, per fortuna le zanzare non fanno prudere molto. Prima di mettermi la maglia osservo il mio avambraccio in controluce davanti alla torcia di benzina, è coperto da uno strato di zanzare, sembra una muffa. Le nostre guide ci lasciano soli per andare, con il buio, a chiedere in prestito un arpione per la caccia ai caimani, evidentemente qua vicino ci sono capanne. Tornano tardi, finiamo di montare le zanzariere, ma poi nessuno ha voglia di andare a caccia, dormiamo.
Martedì 18 agosto.
Appena svegli riaccendiamo
il fuoco di ieri sera, colazione con pesce fritto e the. Peschiamo un po’ con
la tarrafa, in ogni retata ci sono sempre pesci, in genere piccoli, e i piranas
non mancano mai. Laura prende un grosso pesce di almeno mezzo metro, poco dopo
io prendo altri due pesci analoghi con un lancio solo. Le nostre due guide si
complimentano, hanno notato che io sono più esperto di loro nel scegliere il
punto dove lanciare la tarrafa: “Gianni el mejor pescador italiano en el Perú”.
Anni di pesca alla trota mi avranno ben insegnato qualcosa.
Ripartiamo
scendendo il rio Calleria, facciamo una sosta per andare a caccia.
Non
è per sport, abbiamo bisogno di cacciare e pescare per mangiare, le poche
scorte che ci siamo portati sono davvero poche, anche lo scatolame è
pochissimo. Carlos mi dà la sua penna-pistola e quattro cartucce calibro 22.
Agustin ha il calibro 12 monocolpo tenuto insieme dal fil di ferro. Andiamo a
visitare un gruppo di tre o quattro capanne, c’è una giovane a seno nudo, che
si copre al nostro arrivo, quelli della prima capanna hanno volti da indios
puri, bellissimi.
Parliamo un po’ con il capofamiglia della seconda capanna, ci accompagna dentro la foresta per una buona mezz’ora poi ci lascia proseguire e torna indietro. Non c’è sentiero ma il sottobosco è pulito ed è abbastanza buio. Camminando facciamo segni sui tronchi con un colpo di coltello, ci sarà poi davvero utile per non perderci al ritorno. Avanziamo per più di mezz’ora, ad un certo punto veniamo attaccati da un gruppo di vespe, ci pungono un po’ tutti ma nulla di che.
Non vediamo selvaggina, stanchi e a mani vuote torniamo indietro. Unica possibile preda, di scarso interesse, è un grosso uccello scuro, forse un falco che si posa a dieci metri da noi, sparo inutilmente con la pistola di Carlos. Arriviamo alla capanna mentre sta piovendo, il capofamiglia ci regala un cranio di un felino che lui chiama “tigre” , forse un ocelotto. In cambio gli promettiamo medicine.
Parliamo un po’ con il capofamiglia della seconda capanna, ci accompagna dentro la foresta per una buona mezz’ora poi ci lascia proseguire e torna indietro. Non c’è sentiero ma il sottobosco è pulito ed è abbastanza buio. Camminando facciamo segni sui tronchi con un colpo di coltello, ci sarà poi davvero utile per non perderci al ritorno. Avanziamo per più di mezz’ora, ad un certo punto veniamo attaccati da un gruppo di vespe, ci pungono un po’ tutti ma nulla di che.
Non vediamo selvaggina, stanchi e a mani vuote torniamo indietro. Unica possibile preda, di scarso interesse, è un grosso uccello scuro, forse un falco che si posa a dieci metri da noi, sparo inutilmente con la pistola di Carlos. Arriviamo alla capanna mentre sta piovendo, il capofamiglia ci regala un cranio di un felino che lui chiama “tigre” , forse un ocelotto. In cambio gli promettiamo medicine.
Mentre
torniamo verso la nostra barca dove ci attende Carlos, due uccelli simili alle
nostre gazze si posano su un alto albero. Agustin mi passa il fucile, il tiro è
molto lungo ma con un po’ di fortuna la gazza piomba giù. Mi infilo nel
groviglio di erbe piante e rami e vado a raccoglierla. Al nostro accompagnatore
diamo le medicine promesse ( Aspirina, Cibalgina e, ahimè , Bimixin ), con le
istruzioni molto sommarie scritte da Agustin in spagnolo ( si chiama ben
bugiardino! ).
Ripartiamo,
abbiamo bisogno di un fuoco per cucinare qualcosa.
C’è
un piccolo pontile con qualche tronco, ancoriamo la barca. Una scala fatta
scavando i gradini nella terra ci permette di salire fino ad una capanna.
Ci sono due donne e diversi bambini piccoli dai 2 ai 5 anni che girano con l’aria un po’ triste, hanno enormi pance prominenti, si vede che sono malnutriti. Chiediamo alle donne se possiamo usare il fuoco ( è all’aperto, discosto dalla capanna ) in cambio metteremo il riso, e la gazza. Per loro va bene. I loro mariti lavorano a fare legna nella selva. Rapidamente spiumo la gazza. La donna più giovane scende la scaletta fino al fiume. La riempie d’acqua e torna su, ha un passo morbido e flessuoso, tiene la bacinella in bilico sulla testa.
Ci sono due donne e diversi bambini piccoli dai 2 ai 5 anni che girano con l’aria un po’ triste, hanno enormi pance prominenti, si vede che sono malnutriti. Chiediamo alle donne se possiamo usare il fuoco ( è all’aperto, discosto dalla capanna ) in cambio metteremo il riso, e la gazza. Per loro va bene. I loro mariti lavorano a fare legna nella selva. Rapidamente spiumo la gazza. La donna più giovane scende la scaletta fino al fiume. La riempie d’acqua e torna su, ha un passo morbido e flessuoso, tiene la bacinella in bilico sulla testa.
Con i bambini mangiamo il riso nelle scodelle, una scatoletta e poco altro, la gazza, infilzata su uno stecco e cotta sulla brace, la lasciamo per i bambini che secondo me hanno bisogno di proteine.
Prima
di ripartire regaliamo loro alcune matite e pennarelli, ma sono molto piccoli
per usarli… e poi non hanno carta, di certo non sono in buona salute, non
ricordo abbiano mai sorriso.
Scendiamo ancora fino all’Ucayali, su una spiaggia attracchiamo per vedere un delfino morto, forse finito in una rete di pescatori. Più avanti ci fermiamo su una spiaggia per dormire, tutto il giorno è stato nuvoloso e minaccia pioggia. Due pescatori, che dormiranno in barca su una spiaggia vicina, vengono a cucinare banane sul nostro fuoco, offriamo loro il the. Lungo questo enorme fiume passano di giorno rare barche di legno simile alla nostra, cariche di banane verdi o altre merci, ma il fiume è lungo e non sempre in giornata si arriva ad un centro abitato, così la sera sono molte le barche che approdano ad una spiaggia per fare il fuoco e passare la notte. Dopo cena, alla luce della scatoletta con la benzina, ci dilunghiamo a chiacchierare con le nostre guide, le zanzare sono fittissime, mi alzo e guardo a terra, si vede tutto confuso per lo sciame di zanzare. Arriva un cane che ci mangia lo zucchero nel barattolo appoggiato a terra un metro più in là.
Mercoledì 19 agosto.
Partiamo
dalla spiaggia dopo una colazione a base di the e pesce appena pescato,
compriamo da alcuni pescatori qualche chilo di pesce barattandolo con cipolle,
limoni e una scatola di tonno.
Si naviga tutto il giorno, in controcorrente si va più piano, arriviamo al canale che unisce la laguna di Yarinacocha. C’è meno acqua ed è difficoltoso il passaggio, più volte Chicco ed io scendiamo in acqua con le nostre guide per spingere la barca oltre i tronchi a fior d’acqua. Carlos con impeccabile professionalità entra in acqua fino al petto nonostante indossi i pantaloni lunghi .
Si naviga tutto il giorno, in controcorrente si va più piano, arriviamo al canale che unisce la laguna di Yarinacocha. C’è meno acqua ed è difficoltoso il passaggio, più volte Chicco ed io scendiamo in acqua con le nostre guide per spingere la barca oltre i tronchi a fior d’acqua. Carlos con impeccabile professionalità entra in acqua fino al petto nonostante indossi i pantaloni lunghi .
In
questo canale vediamo un sistema di pesca come non credevo potesse esistere: su
una piroga che avanza lentamente ci sono tre o quattro indio che pescano
immergendo a semplicemente a caso una fiocina a forchetta nell’acqua color
caffelatte, ogni tanto un pesce rimane infilzato.!!
Entrati
nella laguna ci fermiamo nel villaggio S.Francisco, della tribù Shipido, siamo
poco lontani da Pucallpa, di fatto è un po’ turistico. Acquistiamo braccialetti
di semi e denti di piranas etc.. c’è una
bambina che tiene in mano e gioca con un Uistiti pigmeo, la scimmia più piccola
del mondo, sta comodamente nel palmo di una mano.
Ripartiamo alla volta di Yarina cocha dove arriviamo alle 17 circa. Mangiamo con Agustin all’albergo Mi Perù poi andiamo a dormire a casa di Agustin, con la sua convivente e coetanea di 22 anni. Hanno tre figli (Edilberto, Michael Angel, Agustin secundo), e in attesa del quarto. La casa è un monolocale, di cemento senza finestre, mancano l’acqua la luce e il bagno.
Ripartiamo alla volta di Yarina cocha dove arriviamo alle 17 circa. Mangiamo con Agustin all’albergo Mi Perù poi andiamo a dormire a casa di Agustin, con la sua convivente e coetanea di 22 anni. Hanno tre figli (Edilberto, Michael Angel, Agustin secundo), e in attesa del quarto. La casa è un monolocale, di cemento senza finestre, mancano l’acqua la luce e il bagno.
Dormiamo
sul nudo e freddo cemento, coprendoci con le maglie che abbiamo.
Giovedì 20 agosto.
Sveglia
alle 7, appuntamento a Yarinacocha con Carlos per cambiare i nostri dollari e
pagare le nostre brave guide. La banca è chiusa, il cambio ufficiale è 436 S/
per un dollaro, riusciamo a cambiare da un privato a 425. Ultima bevuta insieme
in un bar e poi ci salutiamo. Ci ripromettiamo di ritrovarci negli anni
successivi, ma purtroppo non succederà.
Partenza
ore 13 da Pucallpa per Lima, l’aereo è della flotta Aeroperù, 51 dollari,
arrivo a Lima ore 14:15. L’escursione nell’Amazzonia peruviana è finita.
In
Amazzonia non ci sono monumenti, luoghi sacri o famosi da visitare, per cinque
giorni abbiamo vagato tra cose semplici e primordiali, acqua, terra, alberi e animali,
la meravigliosa Foresta Pluviale. Abbiamo visto la potenza delle forze della
natura, la gravità che modella con l’acqua il paesaggio come un bambino che gioca
con la sabbia, e la vita! La VITA, stupore della Terra che pulsa qui come un
cuore battente.
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