Caro Mattia
Oggi sono andato
per funghi nei luoghi dove ho passato tanti bei giorni durante la mia
adolescenza. Li ho trovati cambiati e meno belli, il bosco fitto e incolto si è
appropriato di quei pochi metri di prato scosceso che erano sufficienti allora
per rendere bellissimi questi posti; di per sé è poca cosa ma insieme con
questi pascoli è scomparso tutto un mondo ed un modo di vivere, è scomparsa una
civiltà, forse una cultura.
Certo qui a
Montesinaro sono sempre stato solo un "villeggiante" ma avrei
preferito essere un boscaiolo o meglio un malgaro. Tuttavia anche grazie
all’amico Valter, che tu conosci, mi sono avvicinato molto al loro mondo, ed è
facile capire la giustezza, la coerenza, l'equilibrio del loro modo di vivere
inseriti nella natura. Quando sarai più grande te ne parlerò perché è una
civiltà che qui sta scomparendo, e voglio che tu la conosca, non ci sarà più
nulla di simile negli anni futuri in queste valli piccole e scoscese.
Valli povere in
relazione ai valori attuali ma straordinariamente ricche di vissuto e di storia,
ogni angolo fruibile è stato abitato e vissuto e lavorato negli ultimi tre
secoli. Bastavano pochi metri quadri pianeggianti e subito gli si dava un nome,
un toponimo, è tutto detto.
Ma oggi è stato un
momento bello anche se melanconico e ti voglio far partecipe del mio sentire.
Sono partito di
pomeriggio mentre tu dormivi e mamma stirava la biancheria, ho poco tempo,
naturalmente tu mi vuoi con te al risveglio, hai solo quattro anni e sei un
tiranno!.
Velocemente sono
salito al Pinigrand (sulle carte Pianel Grande, i nomi dei posti che scrivo
spero ti saranno familiari fra qualche anno), e poi lentamente recuperando il
fiato grosso ho cominciato a cercare funghi, con metodo, aiutandomi con un
lungo bastone per scansare le felci ed i rovi che una volta qui non c'erano.
Devi sapere che
venivo spesso qui a funghi nelle età dagli otto ai diciotto anni, quasi sempre
da solo; in certe zone conosco le pietre ad una ad una.
Dopo un po' sento
che si instaura come un dialogo con il bosco, mi sembra che mi riconosca e mi
suggerisca i ricordi.
C'è stato vento e
sole nei giorni scorsi, non ci sono neanche i variopinti soliti funghi non
mangerecci, c'è poco da sperare, perciò invece di passare veloce come facevo
una volta quando il bosco era più pulito e produttivo, oggi setaccio ogni
angolo con molta cura. Ecco il primo porcino, che sarà l'unico, bellissimo
seppur piccolo, con cura lo taglio al gambo e lo pulisco bene prima di riporlo
in un letto di felci nel sacchetto.
Sono all'inizio
della strada per la
Valdescola (Teggie Valdescola) prima della pietraia, stanno
scendendo due signori, ci si saluta passando ed io fingo, inutile vezzo, di
salire verso Valdescola perché non
capiscano che cerco funghi. Mentre cammino penso che quel fungo sia un regalo speciale
prodotto dal bosco per me, intanto riprendo la strada verso il Pian del Burun.
Ai tempi era un
sentiero tenuto sgombro dal passaggio occasionale delle mucche di Riccardo, il
malgaro, ora è un sentierino molteplice e discontinuo tra le felci bastonate
dai pochi ma irrispettosi cercatori di funghi. Arrivo all'acqua, è un rigagnolo
ripido frutto di una piccola sorgente che sgorga al fondo della valletta
ripidissima e selvaggia chiamata Eua sëca (acqua secca). Qui uno sbarramento di
piccoli tronchi fatto da Riccardo serve ad impedire che le mucche vadano oltre,
verso il Pian del Burun, ai tempi ci andavano eccome, il sentiero era migliore
ed il prato ai piedi della pietraia era ampio e fresco, ora ne rimane solo una
piccola parte.
Dopo questo
rigagnolo c'è un tratto in ripida salita, ricordo che una volta lo risalimmo a
cavallo Walter ed io; dato che è veramente ripido uno di noi stava sul cavallo
- a pelo e con la sola cavezza - e l'altro attaccato alla lunga coda a farsi
tirare, sarà stato poco elegante ma era certamente efficace.
Il cavallo si
chiamava Nanu ed era molto bello, ricordo gli spaventi quando scivolava
indietro per via dei ferri sulle pietre piatte e inclinate, il rumore stridente
e le scintille lunghe una spanna ed i nostri richiami per calmarlo.
Andavamo a funghi
a cavallo, su sentieri ripidissimi ... e ci sembrava normale!.
Arrivo dopo un po'
al Pian del Burun, il sentiero si corica e si entra in una piccolissima
valletta, quasi una trincea, a lato e alla fine di una grande pietraia.
Qui avvengono due
cose singolari: d'improvviso cessa completamente il rumore del torrente (è più
in basso, ma non lontana, la
Chiobbia ) e si avverte un
gelo all'altezza delle gambe, è un soffio freddo dovuto all'aria che
filtra e fuoriesce sotto la pietraia.
Il silenzio
sottolinea la mia simbiosi con il bosco, almeno questa è la mia impressione,
ecco lì il pietrone sul quale mi sono fatto una solenne dormita un pomeriggio
lontano, accarezzato da un tiepido sole settembrino; succederà più? .
Anche qui adesso i
sentieri sono molti in mezzo all’erba, ma automaticamente mi riporto su quello
principale e mi torna in mente, calpestandolo, che qui c’è un piccolo sasso
piatto sotto la teppa dell’erba che muove impercettibilmente dando una leggera
sensazione di squilibrio al piede. Il ricordo e’ netto immediato
inconfondibile, e stupefacente dopo più di venti anni.
Poco oltre, i
Truinit sono ben conservati (piccolissimi locali costruiti tra le pietre alla
base e sotto il livello della pietraia, erano usati per conservare formaggi e
carni, la temperatura è sempre molto bassa anche in piena estate) ed il gelo
alle gambe passandovi davanti è rimasto lo stesso di un tempo. Salgo un po' ed
in modo automatico mi porto nel posto
delle “donne rosse” giganti; è una zona di qualche decina di metri quadri,
scoscesa, più pietre che erba. Ed eccola lì seminascosta dall'erba, con lo
stesso colore rosso spento, una bella “donna rossa”, non troppo grande in verità ma è certo il massimo
che il bosco è riuscito a produrre per me. La raccolgo con mille attenzioni,
notando che un tempo non ero così accurato.
Camminando penso
molto a te Mattia e a come sarà questo bosco quando avrai quindici e poi
trent'anni e penso che difficilmente avrai ragioni per amarlo come l'ho amato
io, ora che ha perso molto del suo fascino, ora che non c’è più l’amico malgaro
che lo vive. Adesso è infittito pieno di felci quasi un bosco come tanti e non
porta più la traccia lieve ma significativa dell'uomo e delle mucche che ci
pascolavano anche solo pochi giorni ogni estate. Come sarà tra altri dieci anni
?. Forse sarà più bello, in questi anni tutte le specie vegetali si sono
buttate alla conquista dei prati non più difesi da mucche pecore e capre; fra
molti anni alcune specie avranno vinto la competizione, gli alberi alti con la
loro ombra terranno pulito il sottobosco; sui bordi mirtilli e rododendri,
ordinatamente, prenderanno il posto del caos delle piante pioniere come i rovi,
i lamponi e varie erbacce.
Un'amanita
muscaria nata da poco mi ridà qualche speranza di trovare ancora qualcosa e
continuo a setacciare con accanimento. Mi rendo conto che l'occhio mio è
attratto da ogni cosa abbia una forma più o meno tondeggiante di almeno tre
centimetri di diametro ed un colore diverso dal verde, la concentrazione viene
da sé. Andare a funghi è come fare yoga, come la meditazione Zen, come girare
tra i banchi al mercato blandamente attenti a tutto e pronti a cogliere
l'oggetto che veramente ci interessa; il relax che se ne trae è della migliore
specie.
Nel praticello
sotto la ripida pietraia del Pian del Burun mi soffermo a cercare un lichene
che, in questa zona, vive solo in questo punto preciso, dicono che vada bene
per la tosse o come espettorante. Lo cerco negli anfratti sotto le pietre dove
certi anni rimane qualche macchia di neve, e da dove esce la solita corrente
fredda. Ce n'è solo in un punto, due manciate di lichene abbastanza giovane
(cresce lentissimamente, una fogliolina di un centimetro può avere decine
d'anni), ovviamente lo lascio dov'è. Anche il suo habitat è stato cambiato
dall'avvicinarsi di felci e rovi e a causa dal clima che sta mutando
inesorabilmente.
Ritorno indietro
risalendo ancora un po' per ripassare nella zona delle donne rosse, non si sa
mai...
Poi continuo verso
la pietraia, voglio prendere un rametto e qualche bacca di ginepro e so che lì
ce ne sono alcuni, ed è anche un posto da vipere, assolato. Spesso vi trovavo
le pelli intere dopo la muta, non sarebbe male se ne portassi a casa una da
mettere sott'alcool, un’eccezione ad uso didattico. Ecco la pietra piatta
dietro la quale prendemmo una bella aspis tanti anni fa Roberto ed io, ora
quell’angolo di pietraia e’ stato ingoiato dall’ombra del bosco che è venuto
avanti.
Mi viene in mente
che a quei tempi Valter ed io, nell'età tra gli 11 e i 15 anni, giravamo sempre
con un pugnale vero allacciato alla cintura, oltre ad un Opinel n°8 in tasca,
nessuno ci diceva nulla, eravamo conosciuti da tutti quelli del paese e direi
anche un po’ stimati, ci sentivamo padroni di queste valli selvagge.
Esagerando un po’
si può dire che ero il viperaio del paese, mi chiamavano quando avvistavano un
serpentello in un orto, e io andavo a presidiare la zona, ma non era mai una
vipera.
Pungendomi un po'
taglio con l'Opinel (con lama inox, eh.. il progresso..) tre rametti di ginepro
e li metto nel sacchetto, è ora di tornare, mentre sto già accelerando il
ritorno correndo in discesa ecco mi trovo in mezzo a tre “donne rosse” della
qualità gigante, sono però piccoline ma mentre le raccolgo ne vedo altre due
sotto un rododendro, poi poco più avanti ancora una “donna rossa” della qualità
normale stavolta, è l'ultimo regalo del bosco per oggi, e nota bene che in
questi giorni nessun altro ha trovato funghi. Con il cuore dò un arrivederci al
Pian del Burun , e mi riprometto di tornare quassù almeno una volta ogni estate.
L'anno prossimo tu
Mattia avrai cinque anni e mezzo, potrò portarti con me e se non vorrai venire
per invogliarti ti racconterò che qui al Pian del Burun a volte, nei
pomeriggi d'agosto, pascolano i liocorni.
Montesinaro, notte
d'agosto 1994.
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