Verrà ancora la primavera?
Poca luce lì fuori, anche
oggi non è giornata.
Da qualche anno vivo qui
nell’Alta Valle Cervo, una stretta valle con poche strade e molta pace, trovo
che il rumore dei torrenti sia un sottofondo tranquillizzante. Prima vivevo
alle pendici del monte Casto, dove sono nato tanti anni fa, poi un giorno ho imboccato questa valle, cercavo funghi e castagne.
Ci sono tornato ancora e
sempre più spesso scoprendo uno ad uno i prati abbandonati, ci passavo lunghe
ore a cercare le erbette buone da mangiare, le radici, le chiocciole al
confinare con il bosco e vicino ai muretti, a volte giravo fino a notte alla
luce della luna. Pian piano sono diventato un “valìt”, in sintonia con il
mio carattere riservato. Ho vagabondato per la valle in tutte le stagioni sui
sentieri e non, scoprendo dove sono gli “arbo” che fanno le castagne più
grandi, i vecchi meli dei quali nessuno raccoglie i frutti, i faggi che fanno
più faggiole degli altri e le baite dimenticate che intorno hanno sempre
qualcosa di interessante, io lo so. Soltanto nella tarda estate scendo
nella bassa per tenere i contatti con qualche amica. Poi torno quassù, anche se
qui siamo intorno ai mille metri e a parte il freddo mancano diverse cose, non
è una vita facile, ma nonostante i disagi preferisco stare qui... è la magia,
la malìa dell’Alta Valle Cervo, succede a tanti.
Ah, non l’ho ancora detto,
sono un cinghiale, un solengo. Un maschio adulto che vive solitario, peso un
quintale.
Ora più che mai mi accorgo
che la vita da soli è dura e difficile, ti costringe a fare continue scelte, e
se sbagli possono essere guai seri. E adesso, qui al freddo, ho il dubbio
di aver sbagliato qualcosa. Ho il tempo per ripensare a quando stavo col branco di
giovani maschi, all’allegria di quei tempi. Si girava sempre nella bassa
valle, fra i paesi con molte strade e movimento di gente. La giornata passava
dormendo in qualche boschetto, poi la notte via! Campi, sentieri, giravamo
dappertutto, sempre insieme, anche negli orti! Quanti ne abbiamo saccheggiati. E i pomeriggi e le sere passate con
gli amici in cima alle Selle di Rosazza o al Selletto, o sulla punta Solivo a
guardare dall’alto Piedicavallo, Montesinaro, Rosazza, Forgnengo e le loro
frazioni ferme nel tempo. La notte eravamo padroni del mondo, stando ben
attenti a non farci vedere dagli uomini, e dai cani che fanno solo baccano. Si
trovava sempre da mangiare, senza problemi. Una volta abbiamo trovato delle
pere molto speciali: cadute mature dall'albero e coperte dalle foglie dopo diversi
giorni erano fermentate e diventate alcoliche, che strano effetto! Il primo
alcol non si scorda mai, specie se è l'unico. Scendevamo
nella pianura per mangiare il mais delle pannocchie rimaste a terra dopo la
raccolta, bisognava sbrigarsi altrimenti gli uccelli, che di giorno hanno più
tempo, si beccavano tutto. Per queste "cene" si macinavano chilometri
e chilometri al trotto e a volte in fila indiana, come un manipolo di legionari
in missione. Bei tempi, ma non sempre filava tutto liscio, una sera si stava a
grufolare in un prato che era già buio, udimmo un colpo fortissimo e un
grugnito di dolore, una lunga corsa e quando ci fermammo mancava uno di noi,
non tornò mai più. Le strade le evitavamo sempre, ci passavano quegli arnesi
rumorosi con quelle luci misteriose da paura che ti lasciavano per un po' quasi cieco.
Facevamo lunghi giri pur di evitare le strade, eravamo un gruppo affiatato.
Peccato che non durò a lungo,
nel giro di un anno ci siamo dispersi tutti, ognuno per la sua strada. E’ la
vita che cambia, o che ci cambia, chissà.
Fu in quel periodo che mi
avvicinai all'Alta Valle scoprendola e salendo sempre più su. Dormivo pochi
giorni nello stesso posto poi andavo avanti verso altri boschi, cercando
nascondigli per il giorno, radure per la notte. Però ho avuto la fortuna di
vivere un autunno indimenticabile, ero sceso fino ai prati sopra Passobreve per
cercare le femmine in estro, e trovai Lei. Era una femmina giovane rimasta
isolata dalle altre per qualche motivo che non so. Rimase con me,
incredibilmente, anche dopo il periodo dell'estro. Io e Lei insieme per tutto
l'autunno, giorno dopo giorno risalimmo la valle, ero orgoglioso di farle
scoprire i miei possedimenti, fu come invitarla a casa mia, mostrarle la mia
collezione di farfalle... A Lei piacevano molto i funghi, allora la portavo nei
posti giusti, col nostro fiuto finissimo li trovavamo anche al buio. Verso sera risalivamo lentamente i boschi per goderci il tramonto sui prati più
alti, per scendere poi in piena notte. Dove prima stavo bene da solo, ora con Lei ero felice, e anche lei stava bene, era cresciuta, ingrassata. Ma una notte
di metà dicembre decise di tornare in pianura, inutilmente provai a seguirla
mi scacciò, non la vidi mai più.
Pochi giorni dopo ebbi un
brutto incidente.
Tra i cibi che preferisco ci
sono dei tuberi dal sapore di castagne, grossi come un chicco di granturco, si
trovano pochi centimetri sottoterra nei prati, e non in tutti. Per trovarli
occorre rivoltare col grugno lo strato di radici dell'erba, e questo non piace
per nulla agli uomini, in effetti il prato si rovina molto. Ma noi cinghiali
non sappiamo che farci, non è facile trovare cibo e non possiamo privarci di
questa nutriente leccornia. Quella notte stavo rivoltando zolle in un prato
vicino al paese quando sentii una tremenda botta sulla fronte, non ci fu nessun
preavviso, ma più tardi ricordai un suono, un "ciufff" dalla parte
del paese: un fucile con silenziatore, un bracconiere.
Tramortito dal colpo mi
allontanai nei boschi. L'osso della fronte era inciso profondamente dal
sopracciglio verso l’altro occhio per almeno dieci centimetri, ma non perforato.
C’era una spaventosa ferita sopra la fronte che sanguinò a lungo, poi
l'infezione.
Ma noi cinghiali siamo dei
tipi durissimi, per diversi giorni l’occhio destro rimase chiuso, faticavo a nutrirmi
ed ero anche disorientato, ma me la cavai.
Da allora ho aumentato
l'attenzione, ho cominciato a studiare gli uomini. Tranne qualche allevatore e
agricoltore, gli altri sono strani esseri che non sembrano neanche animali,
coperti di stracci girano solo di giorno e solo sulle strade e dentro i paesi,
sembrano sciocchi e handicappati, eppure sono pericolosi. Capii che dovevo
starne ancor più alla larga, quindi ho scelto di svernare a questa quota, giù
dove la valle si apre sono troppi i paesi, le luci, le strade. Forse è per questo
che adesso sono qui bloccato da giorni e non ho nulla da mangiare.
Questo è un inverno diverso,
difficile, è caduta molta neve, a più riprese, moltissima neve. Già un mese fa
ho visto arrivare i camosci scesi fino a qui, magri e indeboliti, li ho visti mordere le
cortecce degli alberi nel bosco. Ma la volta degli alberi non è bastata a
fermare la neve, anche nei boschi si sprofonda troppo per muoversi. I caprioli
sono scesi tutti da un pezzo, ma penso che molti non ce la faranno, bloccati
anche loro dalla neve non hanno nulla da mangiare. So già che a primavera ne
troverò più di uno morto, accoccolato come se dormisse.
Da tanti giorni io mi sono
riparato qui nella stalla di questa baita dal tetto crollato, c'era una porta
socchiusa e sono entrato, ha nevicato ancora.
Dopo qualche giorno ho
provato ad uscire, fuori dalla porta c'era un muro di neve, ho faticato a
passare. Con una neve così alta si procede solo a balzi, ogni balzo mezzo metro
di fatica, per andare dove poi? non troverei nulla da mangiare, sono tornato
qui.
Qui il silenzio è assoluto,
da giorni non sento neanche il mormorio della Chiobbia che dista solo venti
metri, forse la neve si è richiusa sopra il rivolo d'acqua, un silenzio
ovattato che fa paura.
Sono passati altri due
giorni, giorni di bel tempo, il sole ha scaldato il muro di pietra e il
riverbero ha fuso un po' di neve, per cui adesso c’è un muro di ghiaccio vetroso
davanti alla porta, finché non si scioglie non potrò uscire. Sono preoccupato,
quanto durerà tutto questo?
Passa altro tempo, continuo a
dormire e svegliarmi, non ho più fame né sete né freddo, voglio solo dormire e
sognare ancora. Nel dormiveglia immagini e sensazioni si rincorrono leggere, il fruscìo delle foglie secche dei faggi, il
profumo fiabesco delle fragole di bosco, dell'erba nuova, dei fiori di campo nelle notti d'estate, il sapore squisito dei mirtilli e dei
lamponi, le corse a rotta di collo nella terra nera sotto il faggeto, la luce del sole. Scorre il caleidoscopio del mio tempo passato, ma ora sono su al Selletto sopra Rosazza e Lei è tornata, sta vicino a me e stiamo bene.
E tuttavia... un dubbio m'inquieta: in mezzo a questa neve come farà il Dio delle stagioni a trovare l'appoggio per la leva che solleverà il sole? Verrà ancora la primavera?
Nota
L'inverno 2013-2014 fu
caratterizzato da nevicate eccezionali. Secondo l'Osservatorio di Oropa nei
mesi da Novembre a Marzo caddero 455 cm di neve. Tre o quattro volte la media degli
altri inverni. Ci fu una durissima
selezione tra alcune specie di animali selvatici.
Lungo la strada dalla casa del
Pescatore, in Val Sessera, verso la Bocchetta della Boscarola furono trovati i
resti o i segni di decine di camosci e caprioli morti di fame, per la neve. Io stesso nella primavera seguente salendo in Valdescola trovai diversi giacigli coperti di pelo dov'era morto un camoscio, e il vento, sul crinale della morena, portava un inconfondibile odore di morte. Un inverno tragico per gli ungulati, una grande tristezza.
Nel maggio successivo l'amico
Roberto, un osservatore che non esito a dire leggendario, stava andando verso Barüz quando vide vicino
al sentiero un ossicino. Andò allora verso la baita diruta, nella stanzetta
dietro la porta c'era lo scheletro di un grosso cinghiale accucciato come se
dormisse, solo la volpe aveva portato via qualche pezzetto. Il grande
cranio riportava una lunga cicatrice ben risaldata, di certo una vecchia
terribile fucilata.
Ora noi sappiamo che la primavera è arrivata, e abbiamo il tempo per pensare alla vita di quel grande cinghiale. Dopotutto era un valìt !
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