giovedì 31 gennaio 2008

Al pian del Burun '94


 Un giro a funghi al  PIAN DEL BURUN


Caro Mattia

Oggi sono andato per funghi nei luoghi dove ho passato tanti bei giorni durante la mia adolescenza. Li ho trovati cambiati e meno belli, il bosco fitto e incolto si è appropriato di quei pochi metri di prato scosceso che erano sufficienti allora per rendere bellissimi questi posti; di per sé è poca cosa ma insieme con questi pascoli è scomparso tutto un mondo ed un modo di vivere, è scomparsa una civiltà, forse una cultura.

Certo qui a Montesinaro sono sempre stato solo un "villeggiante" ma avrei preferito essere un boscaiolo o meglio un malgaro. Tuttavia anche grazie all’amico Walter, che tu conosci, mi sono avvicinato molto al loro mondo, ed è facile capire la giustezza, la coerenza, l'equilibrio del loro modo di vivere inseriti nella natura. Quando sarai più grande te ne parlerò perché è una civiltà che qui sta scomparendo, e voglio che tu la conosca, non ci sarà più nulla di simile negli anni futuri in queste valli piccole e scoscese. 
Valli povere in relazione ai valori attuali ma straordinariamente ricche di vissuto e di storia, ogni angolo fruibile è stato abitato e vissuto e lavorato negli ultimi tre secoli. Bastavano pochi metri quadri pianeggianti e subito gli si dava un nome, un toponimo, è tutto detto.

Ma oggi è stato un momento bello anche se melanconico e ti voglio far partecipe del mio sentire.
Sono partito di pomeriggio mentre tu dormivi e mamma stirava la biancheria, ho poco tempo, naturalmente tu mi vuoi con te al risveglio, hai solo quattro anni e sei un tiranno!.
Velocemente sono salito al Pinigrand (sulle carte Pianel Grande, i nomi dei posti che scrivo spero ti saranno familiari fra qualche anno), e poi lentamente recuperando il fiato grosso ho cominciato a cercare funghi, con metodo, aiutandomi con un lungo bastone per scansare le felci ed i rovi che una volta qui non c'erano.
Devi sapere che venivo spesso qui a funghi nelle età dagli otto ai diciotto anni, quasi sempre da solo; in certe zone conosco le pietre ad una ad una.
Dopo un po' sento che si instaura come un dialogo con il bosco, mi sembra che mi riconosca e mi suggerisca i ricordi.

C'è stato vento e sole nei giorni scorsi, non ci sono neanche i variopinti soliti funghi non mangerecci, c'è poco da sperare, perciò invece di passare veloce come facevo una volta quando il bosco era più pulito e produttivo, oggi setaccio ogni angolo con molta cura. Ecco il primo porcino, che sarà l'unico, bellissimo seppur piccolo, con cura lo taglio al gambo e lo pulisco bene prima di riporlo in un letto di felci nel sacchetto.

Sono all'inizio della strada per la Valdescola (Teggie Valdescola) prima della pietraia, stanno scendendo due signori, ci si saluta passando ed io fingo, inutile vezzo, di salire verso Valdescola  perché non capiscano che cerco funghi. Mentre cammino penso che quel fungo sia un regalo speciale prodotto dal bosco per me, intanto riprendo la strada verso il Pian del Burun.

Ai tempi era un sentiero tenuto sgombro dal passaggio occasionale delle mucche di Riccardo, il malgaro, ora è un sentierino molteplice e discontinuo tra le felci bastonate dai pochi ma irrispettosi cercatori di funghi. Arrivo all'acqua, è un rigagnolo ripido frutto di una piccola sorgente che sgorga al fondo della valletta ripidissima e selvaggia chiamata Eua sëca (acqua secca). Qui uno sbarramento di piccoli tronchi fatto da Riccardo serve ad impedire che le mucche vadano oltre, verso il Pian del Burun, ai tempi ci andavano eccome, il sentiero era migliore ed il prato ai piedi della pietraia era ampio e fresco, ora ne rimane solo una piccola parte.
Dopo questo rigagnolo c'è un tratto in ripida salita, ricordo che una volta lo risalimmo a cavallo Walter ed io; dato che è veramente ripido uno di noi stava sul cavallo - a pelo e con la sola cavezza - e l'altro attaccato alla lunga coda a farsi tirare, sarà stato poco elegante ma era certamente efficace.
Il cavallo si chiamava Nanu ed era molto bello, ricordo gli spaventi quando scivolava indietro per via dei ferri sulle pietre piatte e inclinate, il rumore stridente e le scintille lunghe una spanna ed i nostri richiami per calmarlo.
Andavamo a funghi a cavallo, su sentieri ripidissimi ... e ci sembrava normale!.

Arrivo dopo un po' al Pian del Burun, il sentiero si corica e si entra in una piccolissima valletta, quasi una trincea, a lato e alla fine di una grande pietraia.
Qui avvengono due cose singolari: d'improvviso cessa completamente il rumore del torrente (è più in basso, ma non lontana, la Chiobbia) e si avverte un  gelo all'altezza delle gambe, è un soffio freddo dovuto all'aria che filtra e fuoriesce sotto la pietraia.
Il silenzio sottolinea la mia simbiosi con il bosco, almeno questa è la mia impressione, ecco lì il pietrone sul quale mi sono fatto una solenne dormita un pomeriggio lontano, accarezzato da un tiepido sole settembrino; succederà più? .

Anche qui adesso i sentieri sono molti in mezzo all’erba, ma automaticamente mi riporto su quello principale e mi torna in mente, calpestandolo, che qui c’è un piccolo sasso piatto sotto la teppa dell’erba che muove impercettibilmente dando una leggera sensazione di squilibrio al piede. Il ricordo e’ netto immediato inconfondibile, e stupefacente dopo più di venti anni.

Poco oltre, i Truinit sono ben conservati (piccolissimi locali costruiti tra le pietre alla base e sotto il livello della pietraia, erano usati per conservare formaggi e carni, la temperatura è sempre molto bassa anche in piena estate) ed il gelo alle gambe passandovi davanti è rimasto lo stesso di un tempo. Salgo un po' ed in modo automatico  mi porto nel posto delle “donne rosse” giganti; è una zona di qualche decina di metri quadri, scoscesa, più pietre che erba. Ed eccola lì seminascosta dall'erba, con lo stesso colore rosso spento, una bella “donna rossa”, non  troppo grande in verità ma è certo il massimo che il bosco è riuscito a produrre per me. La raccolgo con mille attenzioni, notando che un tempo non ero così accurato.

Camminando penso molto a te Mattia e a come sarà questo bosco quando avrai quindici e poi trent'anni e penso che difficilmente avrai ragioni per amarlo come l'ho amato io, ora che ha perso molto del suo fascino, ora che non c’è più l’amico malgaro che lo vive. Adesso è infittito pieno di felci quasi un bosco come tanti e non porta più la traccia lieve ma significativa dell'uomo e delle mucche che ci pascolavano anche solo pochi giorni ogni estate. Come sarà tra altri dieci anni ?. Forse sarà più bello, in questi anni tutte le specie vegetali si sono buttate alla conquista dei prati non più difesi da mucche pecore e capre; fra molti anni alcune specie avranno vinto la competizione, gli alberi alti con la loro ombra terranno pulito il sottobosco; sui bordi mirtilli e rododendri, ordinatamente, prenderanno il posto del caos delle piante pioniere come i rovi, i lamponi e varie erbacce.

Un'amanita muscaria nata da poco mi ridà qualche speranza di trovare ancora qualcosa e continuo a setacciare con accanimento. Mi rendo conto che l'occhio mio è attratto da ogni cosa abbia una forma più o meno tondeggiante di almeno tre centimetri di diametro ed un colore diverso dal verde, la concentrazione viene da sé. Andare a funghi è come fare yoga, come la meditazione Zen, come girare tra i banchi al mercato blandamente attenti a tutto e pronti a cogliere l'oggetto che veramente ci interessa; il relax che se ne trae è della migliore specie.

Nel praticello sotto la ripida pietraia del Pian del Burun mi soffermo a cercare un lichene che, in questa zona, vive solo in questo punto preciso, dicono che vada bene per la tosse o come espettorante. Lo cerco negli anfratti sotto le pietre dove certi anni rimane qualche macchia di neve, e da dove esce la solita corrente fredda. Ce n'è solo in un punto, due manciate di lichene abbastanza giovane (cresce lentissimamente, una fogliolina di un centimetro può avere decine d'anni), ovviamente lo lascio dov'è. Anche il suo habitat è stato cambiato dall'avvicinarsi di felci e rovi e a causa dal clima che sta mutando inesorabilmente.

Ritorno indietro risalendo ancora un po' per ripassare nella zona delle donne rosse, non si sa mai...
Poi continuo verso la pietraia, voglio prendere un rametto e qualche bacca di ginepro e so che lì ce ne sono alcuni, ed è anche un posto da vipere, assolato. Spesso vi trovavo le pelli intere dopo la muta, non sarebbe male se ne portassi a casa una da mettere sott'alcool, un’eccezione ad uso didattico. Ecco la pietra piatta dietro la quale prendemmo una bella aspis tanti anni fa Roberto ed io, ora quell’angolo di pietraia e’ stato ingoiato dall’ombra del bosco che è venuto avanti.

Mi viene in mente che a quei tempi Walter ed io, nell'età tra gli 11 e i 15 anni, giravamo sempre con un pugnale vero allacciato alla cintura, oltre ad un Opinel n°8 in tasca, nessuno ci diceva nulla, eravamo conosciuti da tutti quelli del paese e direi anche un po’ stimati, ci sentivamo padroni di queste valli selvagge.
Esagerando un po’ si può dire che ero il viperaio del paese, mi chiamavano quando avvistavano un serpentello in un orto, e io andavo a presidiare la zona, ma non era mai una vipera.
Pungendomi un po' taglio con l'Opinel (con lama inox, eh.. il progresso..) tre rametti di ginepro e li metto nel sacchetto, è ora di tornare, mentre sto già accelerando il ritorno correndo in discesa ecco mi trovo in mezzo a tre “donne rosse” della qualità gigante, sono però piccoline ma mentre le raccolgo ne vedo altre due sotto un rododendro, poi poco più avanti ancora una “donna rossa” della qualità normale stavolta, è l'ultimo regalo del bosco per oggi, e nota bene che in questi giorni nessun altro ha trovato funghi. Con il cuore dò un arrivederci al Pian del Burun , e mi riprometto di tornare quassù almeno una volta ogni estate.
L'anno prossimo tu Mattia avrai cinque anni e mezzo, potrò portarti con me e se non vorrai venire per invogliarti ti racconterò che qui al Pian del Burun  a volte, nei  pomeriggi d'agosto, pascolano i liocorni.

Montesinaro, notte d'agosto 1994.

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