sabato 6 agosto 2011

Amazzonia peruviana



1981, Viaggio nell’Amazzonia in Perù





Un viaggio come oggi non si usa più, organizzato da noi stessi ma principalmente da Federico. Abbiamo seguito poche tracce di una spedizione alpinistica sulle Ande fatta dall’amico Ugo, lo scorso anno. E' stato un viaggio un po' avventuroso che ci ha fatto conoscere qualche aspetto meno noto del Perù.


Dei 26 giorni del viaggio in Perù otto li abbiamo impiegati per visitare la parte amazzonica, in uno degli ultimi avamposti della "civiltà" dentro la foresta fluviale amazzonica.

Occorre sottolineare che questa non è una zona turistica, la curiosità e l'interesse con i quali noi guardavamo gli abitanti erano spesso al pari ricambiati.  

Quanto segue è tratto dal diario che scrivevo ogni sera, ampliando gli appunti scritti su un quaderno.


Pucallpa sul rio Ucayali, l'affluente in alto a sinistra è l'Aguaitia


Giovedì 13 agosto.



Sono le 16.30 di giovedì 13 agosto 1981 e siamo all'aeroporto di Lima. Stiamo aspettando il volo per Pucallpa prenotato ieri. Pucallpa è una città amazzonica nel settore nord orientale del Perù.  Siamo in quattro : Chicco, Lia, Laura ed io.

Seduti su un piccolo gradino della hall scambiamo quattro chiacchiere con un inserviente che viene ogni tanto a trovarci e ci informa del ritardo del volo, ha un vistoso cerotto vicino ad un occhio. Trovo a terra una strana cosa grande come un piccolo uovo, dall'aspetto legnoso e coperta come di squame, l'inserviente dice che è un frutto della selva, per me, perenne assetato di boschi e foreste, è come per un navigante avvistare un gabbiano e capire che la terra è vicina.

Più tardi scoprirò che è un frutto commestibile, sotto la buccia c'è uno strato sottile di polpa acidula poi il grosso seme durissimo, non ne so il nome.

Alle 19.30 parte il volo per Pucallpa, c'è una hostess ed uno steward, ci offrono caramelle e aranciata. Bello il volo nella notte, sul DC9 ci sono viaggiatori insoliti, molti hanno bagagli voluminosi e più di uno porta a mano cinghie di motori e pezzi meccanici di ricambio.

Siamo tutti ansiosi di arrivare a Pucallpa. La signora Zita, nostra fittavola a Lima, ci ha detto che andare in Amazzonia è come vivere un film da protagonisti, l'ha detto con molta convinzione. Si atterra alle 20.15, un po' bruscamente.

Appena scesi sulla pista buia ci assale un caldo pauroso, umidissimo, l'aria è spessa e stenta ad entrare nelle narici, assordante è il concerto di grilli e cicale che immaginiamo grandi come passeri. Ci incamminiamo  verso il terminal.

Appena giunti veniamo assaliti da una folla di curiosi, volti energici e abbronzati, occhi vivissimi quasi tutti arrossati. Tutti che toccano spingono chiamano in uno spagnolo per noi difficile, chiedono se vogliamo un taxi o un albergo mentre aspettiamo con un filo d'ansia che ci portino i nostri bagagli.

Il Terminal non è altro che una baracca di legno però è abbastanza illuminato e vi sono manifesti ed orari appesi; il pavimento è di cemento tirato lustro, ci sembrerà una cosa moderna e lussuosa quando ci ripasseremo fra sette giorni.

Mentre aspettiamo contrattiamo con un ragazzo sui 18-20 anni, sveglissimo, occhi appannati dal tracoma, ci chiede una cifra un po' alta per portarci fino a Pucallpa; siamo incerti fra il piccolo pullman sgangherato che vediamo fuori e la macchina privata che però promette di portarci fino all' Hostal Oriental a cui avevamo telefonato. E' notte, non conosciamo la zona e le distanze, optiamo per la macchina del nostro "amigo" che ci dà subito del tu. E' agitato al punto da risultare inquietante ma mi è anche simpatico.

Saliamo sulla macchina, una BMW nuova e luccicante nonostante la polvere delle strade di terra. Noi quattro siamo dietro, davanti c'è un tizio che guida e una grossa signora ben vestita ed un ragazzino; il nostro "amigo" è fuori seduto sul bagagliaio aperto che trattiene con una mano l'eccesso di bagagli che trabocca.

E' buio pesto la strada è di terra battuta polverosissima e fiancheggiata da alte erbe. Il motore è silenzioso e dai finestrini si sente il clamore dei grilli e delle raganelle. Pochi minuti ed entriamo in Pucallpa, sembra un agglomerato di periferia ma poi per il rumore dei  Juke-box e per la gente numerosa che agita le strade  e per il fatto che sono finiti i sobbalzi (alcune strade centrali sono di cemento) ci rendiamo conto di essere in centro città. Scendiamo in mezzo alla strada, paghiamo e ritiriamo gli zaini dal bagagliaio, ci viene indicata la strada per l'Hostal Oriental che è poco lontano.

L'Hostal Oriental è fantastico: manca l'acqua anche nei bagni che sono dei buchi per terra dentro a dei séparé sui quali sta scritto "Caballeros" e "Damas", vicino ai bagni ci sono alcuni grossi bidoni quasi pieni di acqua ed una latta per attingerla, i corridoi sono tutti imbrattati di terra rossa resa fango dall'acqua versata, le stanze ed i corridoi del primo e unico piano, tutto di legno grezzo non verniciato, sono illuminati da rare lampadine nude, il tetto è di lamiera.

L'aria è soffocante e sa di umido e di muffa. Le porte delle stanze non hanno chiave ma un chiavistello o un pezzo di fil di ferro da agganciare intorno ad un chiodo. Vediamo un topo che percorre il corridoio con la stessa dignità degli clienti dell’albergo.

Il guardiano ci accompagna di sopra e ci prepara il letto (un tavolato di legno con un materasso di paglia durissimo) con una coperta di tipo militare e un lenzuolo grigio largo come il letto ma corto la metà, in pratica ci si appoggia solo il dorso. Scarichiamo il materiale più pesante e meno prezioso e scendiamo per mangiare. Lungo la strada principale troviamo un bar ristorante e qui ceniamo gustando un piatto di minestra e un orribile "llomo saltado".

Alcune cavallette saltano nei piatti e si trascinano camminando fuori dalla minestra anche loro disgustate, sopra di noi c'è un ventilatore con due grandi e lente pale. I volti della gente sono ben diversi da quelli dei peruviani della costa e delle Ande, comunque quasi tutti hanno volti violenti con tratti marcati, la pelle è scura e abbronzata, molti hanno il tracoma una malattia degli occhi che macchia l'iride e arrossa il bianco degli occhi.

Torniamo quasi subito all'Hostal Oriental, dove una bella ragazza sui vent'anni fa la spola tra la strada e il piano superiore sempre accompagnata con molta discrezione.

Nella nostra camera oltre al tavolaccio che funge da letto ci sono una sedia ed un tavolino, tutto di legno di recupero, sembrano tagliati con l'accetta, c'è una finestra senza i vetri ma con una rete metallica finissima contro le zanzare che però entrano e pungono lo stesso. Sotto le lamiere del tetto il caldo è soffocante l'aria è densa, anche da coricati si suda ma bisogna coprirsi per proteggersi dalle zanzare. Un topo ci fa visita correndo all'impazzata per la stanza, dopo averlo scacciato chiudo il foro sotto la porta con un giornale ripiegato.
Sono profondamente contento ed eccitato sia per il posto sia per le cose meraviglise che avremo modo di vedere.

Questo è l'ultimo avamposto della civiltà, un posto da pionieri, ci si arriva solo per una strada di terra di centinaia di chilometri aperta nella foresta come una ferita, oppure con l'aereo; tutto intorno, a parte il grande fiume, c'è la foresta.

Prima di andare a letto abbiamo chiesto informazioni al guardiano di notte su come fare per ottenere un passaggio su una chiatta mercantile fino a Iquitos, la “capitale” dell’Amazzonia, in Brasile, dove l’Ucayali sarà diventato Rio delle Amazzoni. Molto gentilmente si è offerto di accompagnarci al porto la mattina seguente.



Venerdì 14 agosto.

Alle 8.30 partiamo accompagnati dal guardiano notturno verso il porto di Pucallpa, sul fiume Ucayalli. Essendo arrivati che era notte vediamo la città per la prima volta, restiamo stupiti dalla presenza di numerosi avvoltoi dalle movenze sinistre che abitano le strade; sono grandi come tacchini, nerastri, qui li chiamano "gallinazos". Le strade sono quasi tutte di terra e le case di legno, solo le case lungo le vie principali hanno la fognatura, le altre vie sono fiancheggiate, ma anche attraversate, da luridi rigagnoli, evidentemente la fognatura è solo per le vie principali. Dovunque guardiamo si vedono cose per noi inusuali; passa un carretto carico di pesci i più grandi dei quali superano il metro e mezzo, nel cortiletto di una casa un signore gioca con una grande scimmia ragno legata alla catena.
I piccoli pullman che girano sono i più sgangherati che abbiamo visto in Perù mancano di porte e finestrini, qua e là si vede il metallo lucido della carrozzeria dove la vernice è scomparsa come consumata dal vento; passando sollevano un polverone rosso (la terra è rossa, Puc-allpa in un qualche idioma significa terra rossa). La gente sale al volo sui bus, come anche a Lima. Impieghiamo circa mezz'ora per raggiungere il porto, il sole si fa sempre più caldo, la luce è molto forte, fastidiosa.

Facciamo un giretto nel porto, ci sono molti barconi e chiatte in fase di carico o scarico, da una chiatta tramite una passerella fatta da un unico asse una dozzina di scaricatori stanno portando a riva enormi assi di legno rossastro, lavorano senza parlare. Gli scaricatori hanno i corpi più formidabili che abbia visto finora tutti insieme: quasi tutti sono giovani e abbronzati, scalzi con solo i pantaloni corti e uno straccio che si aggancia alla fronte e scende oltre metà schiena, serve per poggiare gli assi sulla nuca e le spalle. La muscolatura è poderosa massiccia e tornita, sono molto controllati nei gesti, dev'essere un lavoro pericoloso.
Il nostro amico dell’ Hostal chiede se vi sono barconi in procinto di partire. Ne trova uno che partirà di lì a due giorni per Iquitos, chiediamo al capitano il prezzo che ci pare un po' elevato e comunque ci vorrebbero 5-6 giorni di navigazione, abbandoniamo l'idea di andare ad Iquitos.
Questi fiumi amazzonici hanno variazioni di livello di 4-6 metri, il periodo piovoso è il nostro inverno quindi ora siamo con poca acqua, tuttavia l'Ucayali qui è largo ad occhio mezzo chilometro e siamo a 4500 chilometri dall'oceano Atlantico in cui finiranno queste acque.
Le sponde sono in perenne erosione e perciò anche le strutture del porto sono minime e provvisorie. Perlustriamo tutto il porto attraversando il mercato che è incredibile: fittissimo, installato su un prato sulla riva del fiume che scorre otto metri più basso, brulica di persone e ci sono le cose più strane. Su un braciere sta cuocendo una specie di zuppa in un carapace di tartaruga, stranissimi pesci verde scuro sono in vendita a terra appoggiati su uno straccio, compro alcune uova di tartaruga bollite, sono oblunghe grandi come metà del dito indice, io le trovo buone. Banane di tante varietà sono appese ovunque in vendita, una banana costa a noi l'equivalente di 10-20 lire. Per passare bisogna fare lo slalom tra i banchetti, i volti energici della gente non ci tranquillizzano molto e ci sentiamo decisamente come pesci fuor d'acqua e come tali siamo guardati, non scatto neppure una foto. Mi sembra che nel mercato non abbiano mai visto un turista, e non li gradiscano.
Il caldo si è fatto pesantissimo, tornando verso l'albergo ci fermiamo sotto una specie di tenda da mercato a fare colazione, ci portano caffè lunghissimo ed io chiedo pane e mantequilla, dopo alcuni passaparola fra una tenda e l’altra mi portano un pacchetto di carta unta che contiene tre cucchiai di burro salato semifuso  color giallo - arancio, ne mangio un po' lasciando stupefatti i miei compagni.
Riprendiamo la strada verso la città, il caldo è veramente massacrante, camminando ci sembra di barcollare, ci fermiamo ancora in una specie di spaccio, prendiamo tutti la Inca-Cola, una bibita gialla caramellosa e nauseante.
Tornati in centro prendiamo una camionetta che ci porterà a Jarina Cocha che è una frazione di Pucallpa su una laguna (cocha) a pochi chilometri. Vogliamo cercare qualcuno che ci porti per qualche giorno nella selva.
Appena scesi veniamo contattati da un olandese che dice di voler anche lui fare un giro lungo i fiumi, ci invita in una capanna-bar e ci offre birra in abbondanza, ci presenta un italiano che possiede una barca; l'olandese è biondissimo con i capelli lunghi ed ha un braccialetto di denti di scimmia, passiamo un'oretta con lui a parlare ed a progettare il giro, siamo molto stanchi per il caldo spossante.
C'è qualcosa che non ci convince nelle proposte dell'olandese, intuiamo che fa lo specchietto per le allodole attirando i clienti, e non si capisce chi sarà davvero la guida, non siamo tranquilli e ce ne andiamo lasciando cadere la cosa.
Giriamo ancora un po' poi salta fuori Agustin, è un meticcio di 22 anni con un fisico minuto ma atletico ed è molto sveglio.
Con lui andiamo in un bar e lì improvvisa un progetto di viaggio di cinque giorni illustrandolo con una mappa disegnata su un pezzo di carta da imballo, con i nomi dei fiumi e indicando i villaggi indio che visiteremo.
Ci sembra di poterci fidare, conveniamo dopo qualche contrattazione sul prezzo : 85000 S/  (soles), più la comida, il cibo, circa 250.000lire più il cibo, per cinque giorni nella selva; è fatta!
Andiamo con lui e con Carlos (20-25 anni) che farà il motorista, a fare il bagno nella laguna sulla sponda di un isolotto. Il bagno in acque amazzoniche è da ricordare; i pesci sono numerosissimi ci pizzicano la schiena e le dita dei piedi, l'acqua è color caffelatte, pesci più grandi ci passano sotto il naso a pelo d'acqua. Agustin ci informa candidamente che vi sono molti piranha e ci mostra una ferita aperta sul suo dito indice procurata da un loro morso alcuni giorni prima.
Tornati dal bagno mangiamo un boccone in una bancarella, cibi piccantissimi per noi quasi immangiabili anche per il gusto, anche il pane, che non c'è quasi mai, sa decisamente di petrolio.
Poi, sempre guidati da Agustin, facciamo una lunga passeggiata contornando la laguna e qui vediamo varie cose interessanti: l'albero del pane, vari tipi di banani, il mango, le orchidee, il cotone ed alcune capanne degli indios. Una donna india sta cuocendo dei piccoli vasi di terra rotolandoli sulle braci di un fuoco da campo, sono colorati con disegni tipo greca, il coccio è nerissimo e molto fine. Torniamo poi a Pucallpa dopo esserci dati appuntamento per domani alle 7, per fare la spesa e poi partire.
 

Sabato 15 agosto.

Dalle 7 alle 8 aspettiamo Agustin davanti all'albergo dopo una notte passata a macerare nella camera divorati dalle solite zanzare.  Comprendiamo così che qui il tempo non ha molto senso, non conta l'ora ma il giorno.
Finalmente troviamo Agustin a mezzogiorno a Yarina cocha dove siamo andati a cercarlo non sapendo più che fare, poi torniamo con lui a Pucallpa a fare le provviste: patate, riso, tonno in scatola, bibite (6 coca cola, siamo frugali), sale, zucchero, un chilo di pane che sa di petrolio e caramelle per i piccoli indio che incontreremo. Questi viaggi tra Pucallpa e Yarinacocha li facciamo su camionette aperte, seduti o in piedi sul cassone. Mi ha fatto una certa impressione, stando in piedi sulla camionetta, vedere da sopra il profilo del capo delle persone sedute, noi “bianchi” abbiamo la fronte ed il mento praticamente uno sotto l’altro, spunta solo il naso. Per gli indios invece si vede la fronte e poi il profilo delle labbra e del mento che sono almeno quattro o cinque centimetri più avanti. Un particolare che salta all’occhio solo guardando da sopra.  
Torniamo a Yarinacocha, facciamo ancora un giro con una barca a remi a caricare le zanzariere, affittate da un parente di Agustin o di Carlos, e un sacco pieno di pompelmi enormi e limoni presi direttamente dall’albero; poi si parte.
Un'ora dopo siamo all'uscita della laguna che comunica con il fiume Ucayalli tramite uno stretto canale di mezzo chilometro.
La nostra barca si chiama Ristel, è lunga 7-8 metri, semplice come una barca a remi, ma una specie di baldacchino di lamiera copre la parte centrale, dietro è montato il motore che appare come un ammasso rugginoso e dà il movimento all'elica che si trova al termine di una lunga asta metallica (più di 3 metri) che fa anche da timone. Muovendo il timone appunto si riesce a far alzare o girare l’asta con l'elica dall'acqua, così è possibile superare secche e ostacoli vari.
A bordo abbiamo un vecchio fucile calibro dodici monocolpo tenuto insieme dal fil di ferro, quattro o cinque cartucce a pallini che ho comprato io stesso sono le uniche munizioni. Carlos il motorista ha inoltre una piccola pistola calibro .22 foggiata come una penna stilografica; due machetes completano l'armamento. I machetes qui sono molto usati, ad esempio per cucinare.
La laguna di Jarinacocha è molto grande, ci mettiamo forse un quarto d’ora per arrivare al fondo dove un canale coperto d’alberi ci porterà al grande fiume. A tratti vediamo uscire dall’acqua degli allegri delfini, di certo sono le Inie, una specie tipica dei fiumi amazzonici.

All'imboccatura del canale che ci porterà all’ Ucayali ci sono alcune barche simili alla nostra incagliate o in attesa poiché un ammasso di vegetali vaganti, credo siano giacinti d'acqua, ha ostruito il canale. Al nostro turno prendendo lo slancio riusciamo a superare l'ostacolo, ci sembrava impossibile che una barca di 7 metri potesse superare uno sbarramento simile, questo sistema dell’elica in cima alla lunghissima barra è efficacissimo. Più avanti vi sono altri tranelli, i più frequenti sono i tronchi a fior d'acqua, più di una volta dobbiamo scendere nell'acqua bassa ed alzare la barca, durante una di queste manovre d'improvviso un centinaio di pesci, spaventati dalla botta della barca che colpisce un tronco sommerso, volano letteralmente fuori dall'acqua fino ad un buon metro e mezzo in alto, lunghi 6-7 centimetri, bianchi e sottili come farfalle, alcuni ricadono nella barca e li buttiamo fuori.

Sulle rive dello stretto canale vediamo alcune iguana, una scimmia, numerosi e coloratissimi martin pescatore. Per me sono ore fantastiche, è un ambiente che amo, si avverano i sogni di tutta l'infanzia e non solo.
Alcune donne indie lavano panni sulla riva, vicino a loro vecchie piroghe semi affondate scavate in un solo tronco, l'unica cosa stonata sono le poche bacinelle di plastica colorata.
Poi il canale finisce e ci troviamo nel mezzo dell'enorme Ucayali, che molti chilometri dopo cambierà nome per diventare Rio delle Amazzoni, lo traversiamo in parte e approdiamo sulla spiaggia di un'isola dove facciamo il bagno.
Ripartiamo dopo mezz'ora e scendiamo il fiume, la corrente è  a tratti abbastanza forte, comprendiamo le difficoltà che ha Carlos  per evitare i banchi di sabbia sommersi, il fiume è largo centinaia di metri, ma ci sono molte isole di sola sabbia altre con alberi lunghe centinaia di metri, ad occhio bisogna scegliere il percorso giudicando dalle increspature e dal colore dell'acqua per evitare mulinelli rapide e banchi di sabbia a pelo d'acqua. Tuttavia viaggiamo veloci, le rive sono alte 3-8 metri e franose. Mentre passiamo vediamo precipitare in acqua alberi enormi e tonnellate di terra con una frequenza sbalorditiva, gli alberi caduti si arenano e si ammucchiano qua e là, migliaia di metri cubi di terra rossa si sciolgono nella corrente color caffelatte.
Altrove le rive sono spiagge lunghe, a volte seminate a granturco e allora vicino, dove il terreno risale, c'è una capanna , oltre la capanna un gruppetto di banani, oltre ancora c'è la selva.
Alcune chiatte mercantili risalgono o scendono il fiume cariche di barili di petrolio o legname, vi sono anche barche più piccole simili alla nostra, in genere cariche di banane verdi da cuocere, su quasi tutte sventola la bandiera del Perù.
Dopo un'ora circa approdiamo in corrispondenza di una grande casa di stile coloniale, è il tramonto, grandioso di spazi e colori, il sole ed il cielo rosso porpora fanno da sfondo alla lunga riva sabbiosa dove alcuni grossi uccelli, simili ai marabù si cibano dei numerosi pesciolini che si sono spiaggiati da soli.

I tramonti, puntuali alle 18 e poco più, ci stupiscono sempre per la rapidità con cui ci traghettano nella notte: nel giro di venti minuti é buio: ore 18.45 notte fonda.
Lo spettacolo del cielo a occidente è grandioso, imponente, il cielo è per una vasta zona rosso scarlatto, violento come tutte le manifestazioni naturali qui in Amazzonia.
 Sembra di essere finiti nel crogiuolo della creazione del mondo.  Proprio intorno ai fiumi c’é il massimo di questa attività frenetica di creazione e distruzione.

Un Architetto forse pazzo, certamente iperattivo, continua a cambiare la disposizione dei corsi d’acqua : “Quell’affluente non lì, per di qua! Tagliamo quest’ansa, via la foresta da lì, presto una laguna qui! “ .
Ma intanto milioni di piante ed animali cercando di essere più rapidi di lui crescono ovunque e comunque sulle sponde precarie. Sono una deflagrazione di vita, si riproducono e crescono esuberanti nei modi più rapidi possibili, sfruttano al massimo l’enorme combinazione di energia della luce, del caldo, dell’acqua. Colgono tutte le occasioni per crescere e moltiplicarsi prima che una zampata del bizzarro Architetto li annienti e li seppellisca in un ribollire di acqua che scorre.
Forse anche loro, piante e animali, piccoli e grandi, sanno che la Vita è ardua ed incerta, ma non ce n’è un’altra.     

Scarichiamo i nostri zaini mentre Agustin e Carlos parlano alle due donne abitanti della casa, per chiedere ospitalità per la notte.
Mentre girovaghiamo per la casa il mio amico sorprende un tizio mentre sta frugando nei nostri zaini, mi avverte e dopo ciò gli zaini non sono più lasciati soli un minuto. Agustin ed io andiamo in giro nelle capanne intorno a comprare un po' di pesce per la cena, dopo qualche rifiuto ci viene venduto a prezzo bassissimo.
Nel cortile dietro la casa scopriamo un albero completamente coperto da un'enorme ragnatela, poi troviamo due grosse iguane su un altro albero e diamo loro la caccia ma senza successo, peccato, sarebbero state un piatto prelibato. Qui la carne è preziosa, e non ci sono frigoriferi.
Piazziamo le zanzariere in una grande sala, probabilmente questa casa funge da negozio poiché in questo locale vi è un bancone con provviste, scatolette e cose varie.
Gli abitanti sono solo due donne, probabilmente i mariti sono via per lavoro.
Una è anziana e autoritaria, l'altra più giovane madre di due bambine di 7-8 anni e di un infante molto malato, diafano e astenico,  a  mio parere non sopravviverà a lungo. Visto lo stato di questo bimbo prima di partire lasceremo loro un po’ di medicine, niente di pericoloso, speriamo… anche perchè non ci si capisce.
Pare che qui le medicine si dividano in tre tipi: quelle per la febbre, quelle per il mal di testa e quelle per il mal di pancia…
Approfittiamo del fuoco per cucinare il solito riso ed i pesci comprati, l'acqua la attingiamo da due grosse pentole che vengono riempite con l'acqua del fiume quando è più pulita al mattino, sul fondo c'è un dito di limo, ma l'acqua è quasi limpida.
Siamo molto stanchi per il caldo e per il poco cibo ingerito negli ultimi giorni, in realtà il cibo di città è per noi quasi immangiabile. Mi preparo come dessert del pesce crudo con sale e succo di limone, agli altri però non piace.
Dopo cena giochiamo un po' con le due bambine, giocano con alcuni sassolini da lanciare e prendere al volo, restiamo meravigliati per la loro abilità manuale, da giocolieri. Verso le 10 andiamo a dormire, si dorme sotto le zanzariere che sono delle specie di tende di tela sottile tenute tese da corde legate a sedie e mobili vari, naturalmente si dorme sul pavimento di legno, una maglia fa da cuscino, due persone più gli zaini per ogni zanzariera, per entrarci occorre coricarsi a terra, alzare appena il lembo di tela che tocca terra appoggiandoselo sul petto e sulle gambe, poi rotolarsi sotto in fretta per far entrare meno zanzare possibile, poi si passa qualche minuto a cercare con la pila le zanzare posate sulla tela, e buonanotte.


Domenica 16 agosto.

Al mattino una rapida colazione con tè, si riparte e dopo aver disceso per breve tratto l'Ucayali risaliamo un affluente laterale destro, l'Aguaitia, largo 20-30 metri la corrente è abbastanza forte, l'acqua ha il solito color caffelatte.
Dopo mezz'ora ci fermiamo e con Agustin prendiamo un sentiero ben poco battuto che si inoltra nella foresta, Carlos rimane di guardia alla barca e alla roba.
Per me è una grande emozione, per la prima volta percorro un sentiero in questa fantastica foresta.
Seguo Agustin che porta in spalla il calibro dodici e studio il suo passo agile e silenzioso. Per fare il passo alza molto il piede prima di portarlo in avanti e lo riabbassa quasi in verticale mentre noi alziamo poco i piedi facendo più rumore ed incespicando di più. Passiamo vicino ad enormi alberi da cui pendono numerose liane alcune grosse solo come matite e lunghe decine di metri. Ad un certo punto si leva un clamore dai rami alti, numerose scimmie grosse come gatti sciamano di ramo in ramo gridando come matte. Agustin mi passa il fucile e sparo, anche se poco convinto, ad una di esse altissima ed in movimento. Il boato dello sparo riecheggia nella foresta mentre con grandi urla e salti vertiginosi tutto il branco si dilegua, non cade nulla e in fondo sono contento così, spero solo di non averla ferita inutilmente.
Proseguiamo lungo il sentiero e mi sento la ramanzina delle ragazze che disapprovano la caccia, specie dopo i pasti.
Dopo un po' arriviamo ad uno slargo, una grossa capanna sulla sinistra è la scuola, più avanti altre cinque o sei capanne formano un piccolo villaggio, deserto. Proseguiamo ancora fermandoci poi presso una capanna dove una donna sta con cinque bambini piccoli su un'amaca. 


Agustin le parla nella loro lingua poi ci spiega che lei è separata dal marito che abita una capanna poco più in là. Ci viene detto che in una stanza, l'unica stanza chiusa in queste capanne che non hanno pareti, c'è qualcuno con  la  malaria, intanto le zanzare sono veramente feroci.
Torniamo indietro fino alla barca dove Carlos ci aspetta, risaliamo ancora l'Aguaitia poi ci fermiamo ad una spiaggia per bagnarci anche se siamo spossati dal caldo e l'acqua ci pare più calda ancora. Mentre facciamo il bagno Carlos con la rete cattura una grossa razza di almeno 50 cm di diametro, con tanto di aculeo velenoso sulla schiena. La rete, la "tarrafa" che in italiano si chiama “giacchio”, una rete rotonda trattenuta al centro da una lunga corda con dei piombi appesi a tutta la circonferenza, la si appoggia tutta sul braccio poi lanciandola con una rotazione del busto si apre ricadendo sull'acqua a campana e sprofonda per via dei piombi, poi tirando la corda trattiene e riporta a riva tutti i pesci rimasti intrappolati sotto. 

Agustin, dalla prua della nostra barca, getta la  tarrafa
Risaliamo in barca (per via della razza e del suo aculeo ci è passata la voglia di prolungare il bagno), torniamo un po' a valle poi saliamo sulla sponda che qui è verticale alta una decina di metri, per salire c'è una scaletta intagliata nella terra, e andiamo a visitare e a chiedere ospitalità per il fuoco in una capanna abitata da 2 o 3 ragazzi e da due bambine bellissime, una ha i capelli biondastri ed i tratti meticci. Qui, oltre la frontiera della "civiltà", vivono molti tedeschi forse scappati dopo l'ultima guerra. Intorno alla capanna girano liberi dei maiali, polli, faraone, gatti e cani. Cuciniamo patate fritte e la razza pescata prima, ottima,  senza sfamarci granché. Poi una delle bimbe, è la più piccola, avrà sei o sette anni, ci accompagna ad una laguna a dieci minuti di cammino, per pescare.
Bellissimo durante il percorso l'attraversamento di alcuni tratti di palude, è quasi buio sotto le piante, usiamo delle piccole piroghe vecchissime e un po’ scassate che sembrano fatte per bambini lasciate lì apposta per chi attraversa, la pagaia è fatta di un pezzo unico con la larga pala a foglia. Ci si sta in due al massimo, inginocchiati. Tengo gli occhi ben aperti perché non è difficile qui immaginare la presenza di un caimano o di un qualche serpente, siamo a pelo d'acqua e pure in mezzo alla vegetazione, e quasi al buio. E' comicamente difficile guidare diritte le minuscole barchette nella poca acqua, più volte finiamo incastrati nella vegetazione mentre la nostra piccola guida molto più abile di noi, se la ride di gusto. 
Giunti alla meravigliosa laguna troviamo una piroga abbastanza grande da accoglierci tutti e sei, ma c’è da stare ben attenti perché l'acqua arriva a dieci centimetri dal bordo. Ci portiamo in mezzo alla laguna, Agustin in piedi sulla prua della piroga con miracoli d'equilibrismo lancia più volte la pesante tarrafa prendendo poco o nulla, sono fermamente convinto che prima o poi finiremo tutti in acqua. 

Io provo a pescare con la lenza tenuta in mano e pezzetti di pane come esca, ma i piranha mi tagliano metodicamente la lenza, non sento neanche strattoni e quando tiro su non c'è più l'amo. Ora capisco perché al mercato di Pucallpa vendevano ami con un lunghissimo gambo d'acciaio!
Con la rete prendiamo però alcuni piccoli pesci straordinari di foggia mai vista. Uno di essi, lungo una spanna e mezza, ha una grossa bocca con denti lunghi e fini come aghi e trasparenti, sembra appena emerso dalla preistoria, stupidamente non lo fotografo.
Verso il tramonto torniamo alla capanna (tra l'altro vi sono stese, in alto, alcune pelli di anaconda una di esse è di tre metri e più), prendiamo un the, poi ci danno in prestito l'arpione per cacciare i caimani. L’arpione è un bastone lungo quasi due metri di legno duro e pesante  con un puntale di ferro con l’ardiglione, a questo puntale è legata una lunga sagola. Dopo averlo infisso nell'animale il bastone si stacca dall'arpione che rimane ancorato alle carni e occorre trattenere la preda mediante la sagola.
Ormai è notte, saliamo in barca e risaliamo ancora l'Aguaitia fino alla spiaggia dove avevamo pescato la razza. E' buio, puntando la pila a pelo d'acqua si vedono fosforescenti gli occhi di molti caimani che ci guardano a pochi metri di distanza.
Montiamo le zanzariere fissandole con bastoni infissi nella sabbia, abbiamo programmato la caccia ai caimani dopo le 11 e mezza, bisogna restare svegli.
Mentre ci prepariamo per la notte arrivano a piedi nel buio due ragazzi e si fermano a parlare con Carlos e Agustin. Dico ragazzi per via dell’età, ma qui lungo il fiume anche i ragazzi parlano seri e il comportamento è quello di un adulto. Diamo loro qualche sigaretta per la notte, ci dicono infatti che andranno a fare la guardia a dei campi coltivati perché c’è chi ruba, ci lasciano capire di essere armati.
Poi se ne vanno, fa un po’ impressione il fatto che dopo dieci passi la notte li ha inghiottiti e il gorgoglio dell’acqua vicina copre ogni altro rumore, chi mi capisce.. bene.
Poco dopo gli altri vanno a dormire ma io per non rischiare di addormentarmi mi metto a pescare nel buio lanciando la lenza a mano dalla spiaggia, non prendo quasi nulla, solo alcuni pesciolini pungenti e "parlanti" infatti emettono dei continui brontolii con le bolle d'aria dalla bocca, stupefacente! A volte si sentono strattoni violenti e sempre si strappa la lenza, è sconsolante, ci dev’essere una moltitudine di mostri in quest’acqua!
Poi sveglio gli altri e mentre le ragazze continuano a dormire noi in barca risaliamo l'Aguaitia per circa venti minuti, poi approdiamo. Aspettiamo che l'ambiente si calmi. Quando gli uccelli notturni ricominciano a cantare riprendiamo la corrente tenendoci accosto alla riva a motore spento ma pronti a riaccenderlo perché la riva è discontinua e la corrente un po' troppo forte. Esploriamo la riva con le pile, Agustin è sulla prua e Carlos a poppa vicino al motore, vediamo un caimano sulla sponda ma la corrente ci allontana, Carlos cerca di fermare la barca puntando una pertica e Agustin cerca di trattenerla aggrappandosi a degli arbusti che emergono dall'acqua, gli arbusti si strappano di colpo, la barca ha un forte sobbalzo e Agustin cade in acqua e con lui l'arpione che stava appoggiato sulla prua.
Abbiamo perso l'arpione. Carlos rapidamente accende il motore evitando per poco che la barca vada a sbattere con violenza contro un gruppo di alberi che emergono dall'acqua. Torniamo sul punto dove è caduto l’arpione e Agustin prova una volta sola ad immergersi e cercare l’arpione nell’acqua buia, ma invano.
La nostra caccia ai caimani finisce qui, senza arpione non c'è nulla da fare. Agustin bagnato e arrabbiato dice "Mira como se calienta el alemano ! ....quando gli diremo che abbiamo perso il suo arpione!". Imprecando alla sfortuna ritorniamo alla spiaggia dove le tende-zanzariere risaltano bianche sotto la luce lunare, le ragazze dormono beate. 


Lunedì 17 agosto.
Il sole del mattino ci scalda e asciuga dopo la notte umida e fredda nelle ultime ore. La luce del primo sole illumina i jeans di Agustin appesi alla tettoia della barca ad asciugare dopo il bagno notturno.  


Qui intorno ci deve essere un piccolo villaggio con una scuola, una lunga canoa carica di bambini attraversa in diagonale l’Aguaitia.
Intanto c’è un suono che si ripete, forte e inquietante, metallico e proviene da un alto albero di là dal fiume.
Sicuramente si tratta del “pàjaro campana”,  sembra impossibile che un suono così potente metallico, drammatico, provenga dalla gola di un uccello.

Ma in pratica ieri sera non abbiamo mangiato… quindi smontiamo le tende e carichiamo tutto sulla barca, l’Aguaitia, il corso d’acqua dove siamo, è piccolo e anche veloce, non ha senso risalirlo ancora. Scendendo passiamo dalla capanna dove ci avevano prestato l’arpione per avvisarli che è andato perso. Torniamo nell’Ucayali e lo risaliamo fino alla casa dove avevamo dormito la prima sera, compriamo un pesce, 2 kg pulito, 500 S/ (soles). Mangiamo anche banane bollite ed io il cebice, pesce crudo col limone. Ripartiamo scendendo la corrente, siamo di nuovo nel grande fiume che in questo tratto fa un po’ di curve, il che vuol dire rapide e bassifondi da scansare, Carlos al timone è bravissimo e Agustin aiuta stando in piedi a prua per vedere più dall’alto le correnti. Ogni tanto crolla in acqua un tratto della sponda, alta quattro o cinque metri, tonnellate di terra, alberi compresi, meglio stare alla larga.
Seguendo il programma scritto sulla carta da pacchi scendiamo l’ Ucayali e dopo un po’ lo abbandoniamo risalendo un altro affluente che proviene da destra, il Calleria, più piccolo dell’Aguaitia, ma secondo le nostre guide è più pescoso. 

Risaliamo per un po’ poi ci fermiamo vicino ad una capanna. Agustin e Carlos, ed io con loro, partiamo per andare a pescare, con una piccola piroga che era legata al molo, traversiamo il fiume e approdiamo sull’altra sponda, poco oltre c’è una laguna. Loro due salgono su una piccolissima piroga e vanno a pesca, io resto solo, mi addentro un po’ lungo un sentiero. Anche qui la foresta è stata tagliata,  attraverso un rigagnolo con poca acqua, incontro una donna che mi invita alla sua capanna a vedere il Paiche, fatichiamo a capirci, lo spagnolo di tutte queste indie della selva è abbastanza incomprensibile. Poco prima avevo trovato a terra la pelle di un grosso pesce scuoiato da poco, credo sia un’ Arapaima gigas, qui lo chiamano Paiche, una specie di pesce gatto che può diventare enorme, fino a tre metri. In effetti arrivati alla capanna c’è appeso il grande pesce, senza pelle e salato. Le faccio i complimenti per averlo preso, ma non riesco a farmi spiegare come l'ha preso, la tarrafa è una rete pesante e credo la usino solo i maschi. Saluto e torno indietro. Ritrovo i due pescatori, che però non hanno preso nulla, solo pesci piccoli, e torniamo alla capanna.
Risaliamo ancora il rio Calleria, incontriamo una barca di pescatori, sono ancorati momentaneamente a degli alberi piegati in acqua, siamo senza cibo fresco, Agustin contratta con loro e barattiamo alcuni pesci con dei limoni.
Risaliamo ancora il rio  fino ad una spiaggia, facciamo il fuoco e cuciniamo i pesci barattati mettendoli sopra il fuoco appoggiati a una graticola di legnetti verdi, appena strappati.Sullo stesso fuoco cuciniamo il solito riso.

Intanto scende il tramonto, per fare luce accendiamo un po’ di benzina in una lattina di carne in scatola. Con il buio arriva un attacco di zanzare inverosimile, ci copriamo con maglie e pantaloni lunghi, per fortuna le zanzare non fanno prudere molto. Prima di mettermi la maglia osservo il mio avambraccio in controluce davanti alla torcia di benzina, è coperto da uno strato di zanzare, sembra una muffa. Le nostre guide ci lasciano soli per andare, con il buio, a chiedere in prestito un arpione per la caccia ai caimani, evidentemente qua vicino ci sono capanne. Tornano tardi, finiamo di montare le zanzariere, ma poi nessuno ha voglia di andare a caccia, dormiamo.

Martedì 18 agosto.

Appena svegli riaccendiamo il fuoco di ieri sera, colazione con pesce fritto e the. Peschiamo un po’ con la tarrafa, in ogni retata ci sono sempre pesci, in genere piccoli, e i piranas non mancano mai. Laura prende un grosso pesce di almeno mezzo metro, poco dopo io prendo altri due pesci analoghi con un lancio solo. Le nostre due guide si complimentano, hanno notato che io sono più esperto di loro nel scegliere il punto dove lanciare la tarrafa: “Gianni el mejor pescador italiano en el Perú”. Anni di pesca alla trota mi avranno ben insegnato qualcosa.
Ripartiamo scendendo il rio Calleria, facciamo una sosta per andare a caccia.
Non è per sport, abbiamo bisogno di cacciare e pescare per mangiare, le poche scorte che ci siamo portati sono davvero poche, anche lo scatolame è pochissimo. Carlos mi dà la sua penna-pistola e quattro cartucce calibro 22. Agustin ha il calibro 12 monocolpo tenuto insieme dal fil di ferro. Andiamo a visitare un gruppo di tre o quattro capanne, c’è una giovane a seno nudo, che si copre al nostro arrivo, quelli della prima capanna hanno volti da indios puri, bellissimi.  

 Parliamo un po’ con il capofamiglia della seconda capanna, ci accompagna dentro la foresta per una buona mezz’ora poi ci lascia proseguire e torna indietro. Non c’è sentiero ma il sottobosco è pulito ed è abbastanza buio. Camminando facciamo segni sui tronchi con un colpo di coltello, ci sarà poi davvero utile per non perderci al ritorno. Avanziamo per più di mezz’ora, ad un certo punto veniamo attaccati da un gruppo di vespe, ci pungono un po’ tutti ma nulla di che. 

Non vediamo selvaggina, stanchi e a mani vuote torniamo indietro. Unica possibile preda, di scarso interesse, è un grosso uccello scuro, forse un falco che si posa a dieci metri da noi, sparo inutilmente con la pistola di Carlos. Arriviamo alla capanna mentre sta piovendo, il capofamiglia ci regala un cranio di un felino che lui chiama “tigre” , forse un ocelotto. In cambio gli promettiamo medicine.
Mentre torniamo verso la nostra barca dove ci attende Carlos, due uccelli simili alle nostre gazze si posano su un alto albero. Agustin mi passa il fucile, il tiro è molto lungo ma con un po’ di fortuna la gazza piomba giù. Mi infilo nel groviglio di erbe piante e rami e vado a raccoglierla. Al nostro accompagnatore diamo le medicine promesse ( Aspirina, Cibalgina e, ahimè , Bimixin ), con le istruzioni molto sommarie scritte da Agustin in spagnolo ( si chiama ben bugiardino! ).

Ripartiamo, abbiamo bisogno di un fuoco per cucinare qualcosa.
C’è un piccolo pontile con qualche tronco, ancoriamo la barca. Una scala fatta scavando i gradini nella terra ci permette di salire fino ad una capanna. 


Ci sono due donne e diversi bambini piccoli dai 2 ai 5 anni che girano con l’aria un po’ triste, hanno enormi pance prominenti, si vede che sono malnutriti. Chiediamo alle donne se possiamo usare il fuoco ( è all’aperto, discosto dalla capanna ) in cambio metteremo il riso, e la gazza. Per loro va bene. I loro mariti lavorano a fare legna nella selva.   Rapidamente spiumo la gazza. La donna più giovane scende la scaletta fino al fiume. La riempie d’acqua e torna su, ha un passo morbido e flessuoso, tiene la bacinella in bilico sulla testa.

 
Con i bambini mangiamo il riso nelle scodelle, una scatoletta e poco altro, la gazza, infilzata su uno stecco e cotta sulla brace, la lasciamo per i bambini che secondo me hanno bisogno di proteine.
Prima di ripartire regaliamo loro alcune matite e pennarelli, ma sono molto piccoli per usarli… e poi non hanno carta, di certo non sono in buona salute, non ricordo abbiano mai sorriso. 


Scendiamo ancora fino all’Ucayali, su una spiaggia attracchiamo per vedere un delfino morto, forse finito in una rete di pescatori. Più avanti ci  fermiamo su una spiaggia per dormire, tutto il giorno è stato nuvoloso e minaccia pioggia. Due pescatori, che dormiranno in barca su una spiaggia vicina, vengono a cucinare banane sul nostro fuoco, offriamo loro il the. Lungo questo enorme fiume passano di giorno rare barche di legno simile alla nostra, cariche di banane verdi o altre merci, ma il fiume è lungo e non sempre in giornata si arriva ad un centro abitato, così la sera sono molte le barche che approdano ad una spiaggia per fare il fuoco e passare la notte. Dopo cena, alla luce della scatoletta con la benzina, ci dilunghiamo a chiacchierare con le nostre guide, le zanzare sono fittissime, mi alzo e guardo a terra, si vede tutto confuso per lo sciame di zanzare. Arriva un cane che ci mangia lo zucchero nel barattolo appoggiato a terra un metro più in là.

Mercoledì 19 agosto.
Partiamo dalla spiaggia dopo una colazione a base di the e pesce appena pescato, compriamo da alcuni pescatori qualche chilo di pesce barattandolo con cipolle, limoni e una scatola di tonno. 
 
Si naviga tutto il giorno, in controcorrente si va più piano, arriviamo al canale che unisce la laguna di Yarinacocha. C’è meno acqua ed è difficoltoso il passaggio, più volte Chicco ed io scendiamo in acqua con le nostre guide per spingere la barca oltre i tronchi a fior d’acqua. Carlos con impeccabile professionalità entra in acqua fino al petto nonostante indossi i pantaloni lunghi .
In questo canale vediamo un sistema di pesca come non credevo potesse esistere: su una piroga che avanza lentamente ci sono tre o quattro indio che pescano immergendo a semplicemente a caso una fiocina a forchetta nell’acqua color caffelatte, ogni tanto un pesce rimane infilzato.!!
Entrati nella laguna ci fermiamo nel villaggio S.Francisco, della tribù Shipido, siamo poco lontani da Pucallpa, di fatto è un po’ turistico. Acquistiamo braccialetti di semi e denti di piranas etc..  c’è una bambina che tiene in mano e gioca con un Uistiti pigmeo, la scimmia più piccola del mondo, sta comodamente nel palmo di una mano.  

 Ripartiamo alla volta di Yarina cocha  dove arriviamo alle 17 circa. Mangiamo con Agustin all’albergo Mi Perù poi andiamo a dormire a casa di Agustin, con la sua convivente e coetanea di 22 anni. Hanno tre figli (Edilberto, Michael Angel, Agustin secundo), e in attesa del quarto. La casa è un monolocale, di cemento senza finestre, mancano l’acqua la luce e il bagno.
Dormiamo sul nudo e freddo cemento, coprendoci con le maglie che abbiamo.

Giovedì 20 agosto.

Sveglia alle 7, appuntamento a Yarinacocha con Carlos per cambiare i nostri dollari e pagare le nostre brave guide. La banca è chiusa, il cambio ufficiale è 436 S/ per un dollaro, riusciamo a cambiare da un privato a 425. Ultima bevuta insieme in un bar e poi ci salutiamo. Ci ripromettiamo di ritrovarci negli anni successivi, ma purtroppo non succederà.
Partenza ore 13 da Pucallpa per Lima, l’aereo è della flotta Aeroperù, 51 dollari, arrivo a Lima ore 14:15. L’escursione nell’Amazzonia peruviana è finita.

In Amazzonia non ci sono monumenti, luoghi sacri o famosi da visitare, per cinque giorni abbiamo vagato tra cose semplici e primordiali, acqua, terra, alberi e animali, la meravigliosa Foresta Pluviale. Abbiamo visto la potenza delle forze della natura, la gravità che modella con l’acqua il paesaggio come un bambino che gioca con la sabbia, e la vita! La VITA, stupore della Terra che pulsa qui come un cuore battente.
Indimenticabile.
Carlos, il motorista

Agustin, la guida




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