mercoledì 15 febbraio 2012

Sulle api



Api


Nella parte a monte del giardino c’è sempre stata una fila di arnie che papà allevava con cura amorevole. Facevano parte della famiglia, come il cane ed il gatto.

Erano arnie di legno con il tettuccio di lamiera, verniciate di colori vari

(arnie a favo mobile Dadant-Blatt). Un giorno papà mi disse che nel 1952, mio anno di nascita, un'arnia produsse da sola circa cento chili di miele! ed il ricordo più lontano che ho, benché confuso, è di quando mi punsero decine di api tutte insieme, avevo circa due anni. Successe un giorno che eravamo in giardino, la mamma mio fratello ed io, mentre mamma badava all'orto io giocavo gironzolando qua e là. Ricordo che mio fratello, di poco maggiore di me, mi porse un bastoncino e mi disse di stuzzicare le api che sostavano e transitavano numerose davanti alla porticina di un alveare.

Né lui né io sapevamo il prezzo di un simile gioco, fatto sta che in breve mi trovai avvolto da un turbine di api arrabbiatissime che presero a pungermi sul volto, sui capelli e sulle mani.

Mamma accorse appena mi sentì piangere e mi portò via di peso. Poco dopo ero in braccio a lei con la testa sotto il rubinetto di un lavandino mentre mi toglieva i pungiglioni uno ad uno, l'acqua fredda alleviava un po' il dolore ma mi pareva di soffocare. Venne il medico, dovevo avere la testa come un pallone, ma disse che non c'era altro da fare, solo sperare che ce la facessi, per fortuna nessuna mi era entrata in gola e respiravo liberamente.

Mamma disse che erano almeno venti punture!

Nonostante questa brusca iniziazione per me le api sono sempre state una cosa bellissima e, fin quando papà le ha avute, mi hanno sempre dato molto.

Intanto avere un papà apicoltore è già una soddisfazione per un bambino, l'apicoltore è un po' un eroe che non teme il dolore dei pungiglioni, produce l’ottimo miele apprezzato da tutti, ed è visto come un druido che conosce il complesso e affascinante mondo delle api.

A scuola, alle elementari, ero uno degli allievi più interessanti agli occhi del Maestro (la maiuscola credo proprio che se la meriti) anche per via delle api. Un giorno, su richiesta sua, portai a scuola un'ape un fuco ed una regina che appuntammo su un foglio con uno spillo ed esponemmo in bacheca. Non si parlava ancora di ecologia, ma il Maestro già allora ci trasmetteva fuori programma scolastico il germe dell’amore per la Natura e qualche nozione di zoologia e botanica. Una volta, un pomeriggio di primavera, tutta la classe con il Maestro venne nel mio giardino a visitare l'apiario,  la mamma preparò dei bicchieri di acqua limone e zucchero, fu per tutti un bel pomeriggio.


Papà aveva cominciato ad allevare le api già prima della guerra, intorno agli anni 1930-35. L’apiario non è mai stato molto numeroso, le arnie erano sempre circa 10 o 15.

Ma poche o tante le api avevano una certa importanza in famiglia, per capirlo basta pensare che due o tre volte l’anno richiedevano la partecipazione di tutti.

Due volte l’anno c’era la smielatura, una a casa a fine maggio ed una a Montesinaro, in montagna, ad agosto. Poi c’erano i trasferimenti, di notte, per portare le api su in montagna e poi di nuovo a casa. In queste occasioni si era tutti coinvolti, c’era qualcosa da fare per tutti.

Mamma e mio fratello, essendo un po’ sensibili alle punture delle api evitavano di avvicinarsi alle arnie, questo in linea generale, ma se serviva nessuno si tirava indietro, magari stavano un po’ più coperti.

Papà ed io eravamo sempre in prima linea, non avevamo problemi a farci pungere, quasi sempre a fine giornata dopo la smielatura contavamo una ventina di punture, forse avevo anche un po’ di febbre, ma tutto finiva lì.   

Devo dire che rispetto agli apicoltori che si vedono in tv papà ed io eravamo molto meno protetti, solo nei momenti più a rischio si metteva la “maschera” (una reticella nera montata su un cappello, la tesa del cappello teneva la rete discosta dal volto, ed era chiusa al collo da un elastico), ma gli avambracci e le mani erano sempre scoperti. Spesso avevo anche i pantaloni corti o comunque mai chiusi alla caviglia, per non negarmi l’emozione di un’ape che zampetta su verso il ginocchio sotto i pantaloni.  La difesa migliore era l’affumicatore, meraviglioso attrezzo che magicamente tranquillizza le api.


D'inverno le arnie erano poste in giardino nella zona a monte ben esposte al sole tutte in fila.  Delle varie arnie, che papà chiamava “famiglie”, ce n'erano sempre di più forti e più deboli, cioè con tante o poche api, e papà era sempre attento e preoccupato per le deboli. La regola, che vale per tutti gli allevamenti, è quella di avere famiglie tutte uguali, un’arnia molto forte o molto debole non danno garanzie di durata e possono portare problemi, come per esempio il saccheggio, che è una cosa spaventosa.

Due parole sul saccheggio: si tratta dell’attacco di una o più famiglie, in genere appartenenti ad un altro apiario della zona, diretto contro un’arnia ‘debole’ al fine di rubare il miele ed il polline. In genere vengono attaccate le arnie ai lati dell’apiario, una posizione meno difendibile, è per questo che la arnie ai lati sono sempre un po’ nervosette, pungono più volentieri. Le attaccanti arrivano decise e molto aggressive, mordono le api di casa fino a mutilarle ed ucciderle, entrano nell’arnia, spaccano a morsi le celle del miele e si succhiano tutto il miele che possono, poi tornano alla loro arnia a depositare il miele rubato, e ritornano all’attacco. L’arnia attaccata naturalmente si difende, ma in genere soccombe davanti alla ferocia degli invasori, se poi anche la regina viene raggiunta e uccisa, allora è finita. Se non viene rintuzzato nelle prime ore il saccheggio va poi avanti per giorni e giorni, fino allo scempio totale dell’arnia. E’ triste e impressionante aprire il melario e vedere la distruzione, api morte e smembrate, pezzi di cera staccati, celle divelte.

Qualche volta avveniva un inizio di saccheggio, allora papà tentava di interromperlo con alcune manovre speciali, per esempio restringeva la porticina d’entrata affinché le api di casa potessero contrastare più facilmente le assalitrici. Poi spargeva del borotalco profumato intorno all’arnia ed anche un po’ dentro il nido ed i melari, al duplice scopo di mascherare il profumo del miele e di confondere gli odori delle api stesse.  Di solito funzionava.

Dagli anni sessanta in poi si era diffusa tra gli apicoltori l’abitudine di comprare le regine da un allevamento in Emilia. Le api che nascevano erano un po’ più grandi delle indigene (almeno così mi sembra di ricordare) e un po’ più docili, meno aggressive. Pareri recenti di vecchi apicoltori condannano questa scelta di comprare regine selezionate per aumentare la produzione. Dicono che così si è persa la grande vitalità e resistenza alle avversità delle antiche api nostrane.

Ricordo che papà scriveva alla ditta di Bologna, pagava con un vaglia postale e poi arrivavano per posta dei pacchettini con dentro le regine. Davvero! per posta ordinaria, era una scatoletta di legno (4x2x15 cm circa) chiusa da un lato lungo con una reticella di metallo e dentro si vedevano una decina di api ed una regina con una macchia di lacca colorata sul dorso, ogni anno cambiava il colore, in modo da sapere l’età della regina anche negli anni successivi. Uno dei lati della scatoletta era pieno di cibo che le api rimasticavano e davano alla regina, dall’altro lato c’era un piccolo foro chiuso da un po’ di cera. Bastava mettere la scatoletta nel nido, la parte bassa, dell’arnia senza regina (se necessario si uccideva la vecchia regina) e dopo uno o due giorni il diaframma di cera veniva demolito, dall’interno o dall’esterno, e la nuova regina prendeva possesso dell’alveare. Intanto Nel tempo trascorso si erano amalgamati gli odori dell’arnia e delle nuove api.

La “forza” di un’arnia è data principalmente dalla vitalità della sua regina. Una buona regina è quella che depone molte, moltissime uova a cominciare da inizio primavera, in modo che a maggio quando c’è la fioritura dell’acacia le api siano molto numerose per garantire un buon raccolto. Le regine che deponevano poco venivano sostituite con una regina giovane, acquistata, come sopra detto, o prelevata da un’altra arnia o sciame. Per stimolare la produzione di api, quindi di miele, papà cominciava già a fine febbraio o marzo a nutrire le arnie con una soluzione satura di acqua e zucchero e un po’ di miele. L’arnia e la regina vedendo arrivare nutrimento in quantità erano stimolate ad iniziare la deposizione.

Le arnie in giardino erano tenute in osservazione tutto l'anno, per me anche da bambino erano un oggetto di grande interesse. Passavo tante ore accoccolato tra due arnie per osservare da vicino il volo delle api che partivano rapide in volo per andare a bottinare, cioè raccogliere il nettare che veniva poi trasformato in miele. Più interessanti erano quelle in arrivo, con la pancia gonfia di nettare oppure con le palline di polline infilate in apposite reticelle alle zampette posteriori, gialle, arancioni, rosse. Guardando bene si vedeva che arrivavano stanche, pesanti, si posavano ed entravano subito nella porticina e dentro l’arnia. Con un po’ d’attenzione è facile distinguere le api giovani da quelle più vecchie, queste ultime sono un po’ più scure, hanno meno peluria su zampe e torace e a volte le ali sono consumate, scheggiate ai margini. La vita di una bottinatrice è dura e pericolosa. Poi c'erano i maschi, i fuchi, anche loro si fermavano poco sulla porticina, dovevo essere svelto a prenderli con due dita. Con i fuchi ci si poteva giocare, sono senza pungiglione. Ce n'erano tanti in tarda primavera, poi calavano molto nell'estate per sparire del tutto già a metà agosto, la loro esistenza serve solo per l'accoppiamento durante il volo nuziale della regina.  Questo gioco di osservare le api e cacciare i fuchi ogni tanto mi costava caro, era abbastanza frequente che un'ape mi pungesse, quasi sempre sulla palpebra sotto il sopracciglio o sotto l'occhio, credo puntassero al luccichio dell'occhio. Quando succedeva andavo nel garage, lì vicino, e guardando nello specchietto della Fiat 600, mi toglievo il pungiglione e tornavo al mio gioco. Più di una volta un'altra ape fece il bis... andavo a scuola con un bell'occhio quasi chiuso.


Un po’ di informazioni sulle api.

Durante la loro vita le api cambiano più volte ruolo, ed è stupefacente il fatto che in poche ore passano da un ruolo all’altro, senza particolari istruzioni o “affiancamento” come facciamo noi nel mondo del lavoro.

Il primo ruolo ricoperto dall’ape appena nata è quello di pulitrice, sin da subito eliminano rifiuti e pollini andati a male, oltre a larve, esemplari morti e residui di cera che ostruiscono le celle. Dopo pochi giorni passano al ruolo di cuoche e nutrici: le api operaie hanno il compito di produrre cibo per le larve grazie alle loro speciali ghiandole e passarlo alle larve da bocca a bocca. A questo punto, trascorsi circa 10-15 giorni, le api riescono a fabbricare il miele ricevendo il nettare dalle api bottinatrici. Fase successiva è la costruzione, durante la quale le api operaie si dedicano per l’appunto alla costruzione delle celle di cera, caratterizzate dalla ben nota forma esagonale, una soluzione perfetta per coprire il piano e per il massimo risparmio di cera.

Dopo 20 giorni di vita, le api operaie si mettono a difesa dell’alveare, in un ruolo che potremmo definire militare, una mansione che dura circa due giorni. Dopo questo breve compito, le api passano al ruolo di bottinatrici, andando in cerca di pollini e piante che possano aiutare la produzione di nettare, imparando subito a orientarsi nell’ambiente esterno. Tutto questo ha del miracoloso, ed i meccanismi che usano per orientarsi sono solo parzialmente noti. Si sa che quando una bottinatrice torna in alveare dopo aver scoperto una nuova fonte di nettare lo comunica alle altre facendo una strana danza a forma di otto e contemporaneamente “scodinzola” con l’addome. Con questo strano alfabeto un’ape riesce a comunicare distanza, direzione, e tipo e quantità di nettare. La base di tutto è la posizione del sole, ma il bello è che funziona anche se è nuvolo: grazie alla sensibilità a certi tipi di radiazioni polarizzate loro sanno comunque dove è il sole. La loro prima uscita a bottinare è inspiegabile e stupefacente, un esserino che prima non aveva mai visto l'ambiente esterno se ne esce, si orienta con il sole, si allontana di chilometri e non in linea retta, trova i fiori giusti, e sa tornare alla sua arnia senza errori.

La distanza massima alla quale si spingono si stima sia poco oltre i 3 chilometri, stupefacente per un animale che pesa un decigrammo, e poi deve anche tornare, e tornare carico!

La durata di vita di un’ape è molto variabile, può essere di meno di un mese, d’estate quando c’è molto lavoro e molti rischi, oppure molti mesi, per esempio dalla tarda estate fino a primavera avanzata. I fuchi vivono pochi mesi d’estate, la regina invece può vivere anche cinque anni, e forse più. Ma quando una regina diventa vecchia comincia a deporre meno uova, e le api se ne accorgono. Cercano allora di far nascere una nuova regina, in questo modo: costruiscono in un lato di un favo una grossa cella più o meno ovale, come una fragola, e ci mettono un uovo, uno qualunque di quelli deposti dalla regina. Poi la nutrono la larva con un’alimentazione speciale, la pappa reale, la regina che ne nascerà sarà subito accudita dalle api con grande attenzione. Poi dopo qualche giorno farà il volo nuziale durante il quale si accoppierà più volte con dei maschi che moriranno subito dopo. Sarà l’unico volo nuziale, conserverà tutto lo sperma e lo userà per il resto della vita.

Dopodiché comincerà a deporre uova, fino a 2000-3000 uova al giorno per tutta la primavera e l’estate per diversi anni. La vecchia regina, intanto, avrà cercato una nuova “casa” portandosi dietro, con uno sciame, circa metà delle api dell’arnia, succede sempre nella tarda primavera.


Torno ai miei ricordi di gioventù raccontando qualcosa sugli sciami.

Da metà maggio a metà giugno, circa, c’era il periodo delle sciamature, alcune famiglie decidevano di sciamare, succedeva in genere nelle ore centrali del giorno, davanti alla fila di arnie si formava in pochi minuti una nuvola di api in volo, il rumore si poteva sentire da decine di metri di distanza. Migliaia di api che ronzavano girando a pochi metri di altezza, intanto le esploratrici andavano in cerca di un posto dove fermarsi. Quasi sempre si posavano poco lontano dall’apiario, appese a qualche fronda a pochi metri di altezza. E’ questa una situazione provvisoria che può durare qualche giorno finché non trovano un posto adatto e permanente. Il cavo di un albero, una cavità dentro un muro e posti simili.

Appena ci accorgevamo dello sciame ci si preparava per andarlo a prendere, non bisognava aspettare troppo. Papà aveva elaborato la sua tecnica, secondo me molto funzionale: serviva un portasciami ( una piccola arnia, con dentro alcuni favi, anche vuoti ), e un grosso sacco di plastica, tipo quelli usati per i concimi o il sale per le strade.  Il sacco veniva tagliato in diagonale in modo da avere una “bocca” più ampia.

Poi ci si avvicinava allo sciame, in genere con una scala appoggiata alle fronde, e con un paio di cesoie da giardiniere si tagliavano i rametti che sporgevano oltre la massa d’api. In questi momenti le api ronzano molto ma non sono per nulla aggressive, si può mettere una mano intera dentro lo sciame, non succede nulla. Poi si metteva il sacco al di sotto dello sciame in modo tale quasi da avvolgerlo. A questo punto, con decisione, si dava un forte scrollone al ramo e tutte la massa di api si staccava e piombava scivolando in fondo al sacco. Si chiudeva l’imboccatura, si scendeva dalla scala e si versava tutta la massa di api dentro al portasciami, si chiudeva il coperchio lasciando solo aperta la porticina anteriore.  Tante api rimanevano in volo e alcune si posavano sui rametti dove prima c’era lo sciame, ma ci vuole pazienza…  il portasciami lo lasciavamo lì, almeno fino a tarda sera e le api sapevano bene dov’era la regina ed entravano nell’arnia provvisoria.  Poi si preparava una nuova arnia vuota, con qualche favo, meglio se con un po’ di miele, e si travasavano le api del portasciami nella nuova arnia. Era nata una nuova famiglia!

Uno sciame medio-grande può pesare da due a tre chilogrammi, venti-trentamila api, la regina sta sempre grossomodo al centro, le api non la mollano un istante.

A volte qualcuno del paese ci avvisava di aver visto uno sciame, o di averne uno in giardino arrivato da chissà dove, in questo caso, appurato che non fosse di un altro apicoltore conosciuto si andava a prenderlo ben volentieri.


Segue..seguirà..

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